L'Architettura Religiosa

L'Architettura Religiosa

L’ARCHITETTURA RELIGIOSA

di

Salvatore Rizzeri

 

Chi stanco dalle cure di un secolo assillato, cercasse la pace confortata dall’armonia della natura e volesse ristorare le forze dello spirito alle più pure fonti di un’arte genuina, chi volesse rivivere un attimo del passato pieno di suggestivo decoro e fantasioso sfarzo, venga quassù a Randazzo tra le famose cattedrali dalle poderose absidi turrite di nero basalto, dagli svettanti campanili merlettati in bifore e di trifore. Tutto qui parla al nostro spirito: l’arte, i licheni rugiadosi, i rosolacci rosseggianti, le pittoresche ombrellifere giallastre, ancora cantano, nella loro esuberanza invadente, la storia misteriosa del leggendario passato della città, quando, pieni di sfarzo e di decoro, Costanza, Re Pietro d’Aragona, Federico lo Svevo e il triste e biondo Imperatore del mondo, Carlo V, passavano tra le viuzze della città, in mezzo a poderose squadre di guerrieri, sferraglianti in un assordante rumore di picche e di corazze.

Questa nota suggestiva alla cittadina di Randazzo è impressa dal fatto che racchiude in sé tutta la serie delle manifestazioni stilistiche dell’arte medievale siciliana, non solo nelle abitazioni civili, ma soprattutto nelle vistose costruzioni religiose delle tre cattedrali, che, con la loro massa poderosa, danno alla città una nota caratteristica non facilmente riscontrabile altrove.

Per abbracciare tutta la gamma stilistica delle costruzioni religiose, dobbiamo fare un lungo passo indietro nei secoli e spingerci all’età tenebrosa della fine delle invasioni barbariche, quando subentra in Sicilia quella civiltà bizantina che per tanti secoli, fino alla invasione araba, improntò di se tutta l’Isola.

E’ risaputo che il territorio dell’alto Alcantara presenta ancora vistose tracce di quella penetrazione della civiltà greca che cominciata con Dionisio il Vecchio, intensificatasi con Gelone e Ducezio, perdurò lungo le rive del vecchio Onobola, fino al settimo secolo dell’Era Volgare. Le Cube, vecchie chiese bizantine, sono ancora li a darci la più considerevole testimonianza di questo periodo non breve della nostra storia. Cuba, dice l’Amari, è una parola araba con cui le popolazioni locali indicano le costruzioni chiesastiche a pianta centrale, sormontate da una cupola depressa. A Randazzo ne abbiamo tre, lontane dall’attuale centro abitato, nelle contrade Feudo, Jannazzo e Acqua fredda.

Queste tre costruzioni, che non rimangono isolate nella Valle dell’Alcantara, si ispirano ad uno schema iconografico vario, almeno come si può giudicare dalle rovine purtroppo ancora non scientificamente esplorate. Sebbene non si abbiano dati cronologici di sorta, attraverso lo schema della costruzione possiamo assegnarle al VI sec. d.C. Lo schema è semplicissimo: una navatella rettangolare, una absidiola sormontata da una semicalota sferica e poi le mura perimetrali con finestrelle a feritoia.

Queste costruzioni sono di una semplicità lineare e di un alto valore storico, perché oltre a testimoniare la loro antichità, esse sono immerse in un abbondante detrito archeologico in cui predomina il rosso dei cocci di laterizio, che ci rivela come in quelle contrade ebbe stanza una civiltà.[1]

Dal periodo bizantino, testimoniato dalle predette Cube, bisogna fare un salto in avanti di parecchi secoli per trovare qualche cosa di veramente artistico in Randazzo. La civiltà araba, anche qui, come del resto in tutta la Sicilia, non ci ha lasciato nulla. La città, come centro di una certa importanza, non può farsi risalire oltre il IX sec. d.C. Essa acquistò la sua influenza politica solo nel secondo periodo normanno, quando l’elemento lombardo, trapiantatosi nella città, attraverso fortunose vicende storiche, riuscì ad imporsi all’elemento greco e latino che costituiva la sua popolazione, e a dare una poderosa spinta alla sua affermazione politica nel Regno.

E’ questo il periodo delle origini, scialbo, fortunoso che non lasciò il tempo alle tre popolazioni non ancora bene amalgamate, di occuparsi di altre attività fuori delle politiche. Su di esso impera la più impenetrabile oscurità non diradata com’è, né dai documenti d’archivio, andati distrutti nei secoli susseguenti, né dalla esistenza di alcun genere di opere architettoniche; unico testimone forse è la parte inferiore del campanile di San Martino.

La chiesa di S. Martino, col suo campanile agile come uno stelo di fiore, aggraziato nella sua sobria policromia di bianco e nero, s’innesta, secondo l’opinione del Leopold, nel lasso di tempo che intercorre tra il X e il XII secolo. La nota più caratteristica di esso sono le finestre archiacute a coppia che si aprono nel primo e nel secondo piano. Volgiamo la nostra attenzione alle loro parti decorative ed esse ci forniranno determinazioni di grande interesse.

I capitelli, la base delle colonnine, gli ornati che vi sono riprodotti, mostrano una diversa stilizzazione; nelle modanature del primo piano essa ci può portare fino al X secolo, mentre al secondo piano troviamo in tutto il complesso una maturità d’arte di molto superiore specie nella ornamentazione dei capitelli che ci richiamano la stilizzazione gotica  del periodo  svevo.

La stessa cortina muraria a conci lavici squadrati mostra, inoltre, una vera discontinuità non solo nel disegno dei conci ma perfino nella qualità della pietra adoperata, giacché nella parte inferiore, al materiale lavico si mescola il materiale arenario, mentre in quella superiore è uniformemente lavico. Queste constatazioni ci portano alla conclusione che il campanile di S. Martino nella sua parte inferiore è l’edificio più antico della città di Randazzo e probabilmente sarà appartenuto ad una costruzione anteriore all’anno mille su cui, in età normanna, si è innestato il primo e il secondo piano, e in età posteriore, probabilmente all’inizio del XIII sec., fu aggiunto l’ultimo piano a poderose trifore mitrate che ci richiamano gli edifici della vicina Taormina - Palazzo del Duca di S. Stefano e Abbatiazza - cui devono anteporsi nel tempo a causa della loro ornamentazione floreale più primitiva e più rude.

Il periodo svevo ci dà un altro gioiello d’arte che, nonostante i rimaneggiamenti, è la più bella costruzione della città, l’espressione sincera ed immediata di una sensibilità artistica sorprendente. Si tratta della Basilica di Santa Maria che, come leggiamo in una lapide, fu costruita nel periodo di tempo che va dal 1217 al 1239. La parte più genuina della costruzione è la cortina muraria esterna assieme alle absidi che formano nell’insieme una massa poderosa di nero lavico a conci squadrati e ben connessi di grandissimo effetto. Le absidi si innalzano massicce, come torri poderose su uno sperone a grandi conci lavici che ci richiama in parte la zoccolatura dei torrioni del Castello Ursino di Catania.

Il più superficiale osservatore però non può non accorgersi della sovrapposizione di stili che si alternano in tutto l’armonioso complesso di questa splendida chiesa. La brama del grandioso che ha improntato da tempo immemorabile gli amministratori della ricca fabbriceria ha fatto si che la chiesa ora ci appaia come la somma armoniosa e suggestiva di tutte le correnti artistiche dell’ultimo millennio. Infatti all’iniziale periodo romanico-svevo delle absidi e della cortina muraria segue il secondo prettamente aragonese, testimoniato dalla linea delle bifore; segue quindi la linea quattrocentesca dei poderosi portali di mezzogiorno  e di tramontana e poi ancora quella barocca delle cornici delle finestre che si aprono nelle navatelle laterali, pesanti nel loro barocco borgheseggiante, che piglia respiro con l’armoniosa facciata a modanature di arenaria aurata, tipica costruzione di gotico moderno.

Essa sostituì nel secolo passato il vecchio campanile trecentesco, già in rovina, innalzato in puro stile gotico-svevo da un vecchio maestro - Magister Petrus Tignosus – il cui nome leggevamo su una lapide della vecchia torre campanaria.

Allo stesso periodo svevo risalgono le tre chiesette di S. Stefano, degli Agathoi e di S. Vito che è ormai l’unica rimastaci delle tre, dopo l’immane sfacelo dell’ultima guerra. Di queste la chiesetta degli Agathoi, aveva un particolare pregio di indubbio valore artistico: essa infatti era ornata da affreschi che si estendevano su tutte le pareti, studiati dal Prof. Enzo Maganuco, il quale sulla scorta di un documento riportato da Rocco Pirro nella sua “Sicilia Sacra”, in essa individuò la chiesetta di S. Maia in Memore dedicata nel 1237.[2]

Ad una corrente d’arte più evoluta appartengono le chiesette di S. Maria dell’Agonia e di S. Maria della Volta. La prima più antica della seconda forse di un secolo, sta per essere completamente recuperata dopo lunghi restauri. La chiesa di S. Maria della Volta invece è una costruzione del primo ‘400. Anch’essa manomessa dai continui riattamenti segna sicuramente il passaggio dal gotico al rinascimento.

L’interno della chiesa di Santa Maria (1594), rappresenta il trionfo della più pura linea rinascimentale, quella che ha saputo creare con Brunelleschi le chiese di S. Lorenzo e del Santo Spirito in Firenze. Del medesimo periodo, ma meno imponente e più informe nelle linee, è il rifacimento della chiesa di S. Nicola (1581), la più grande della Diocesi. Scomparse all’esterno e all’interno le strutture trecentesche, eccetto che nella parte absidale esterna, acquista la classica forma basilicale a croce latina su cui, nel sec. XIX si innalzò una cupola di forma slanciata che diede alla chiesa l’imponenza delle grandi basiliche.

La chiesetta di S. Gregorio, con la sua cupoletta a tenda e le sue finestrine in arenaria risale al cinquecento, così come i portali della chiesa dell’Hecce Homo e dell’Annunziata, datato 1584, di pure linee rinascimentali. Unica eccezione in Randazzo di arte chiesastica barocca, è il portale della chiesetta di Santa Caterina, mentre la facciata della chiesa di San Nicola, dell’ultimo seicento, rappresenta l’anello di congiunzione tra la linea cinquecentesca e quella settecentesca. Essa è la più solenne espressione del barocco temperato. A cavallo del seicento e del settecento sta anche la facciata della chiesa di S. Martino, molto vicina nello schema a quella di S. Nicola. Essa è però più sobria, ma anche più snella in tutta la sua composizione.

Questo stesso equilibrio espresso dalle linee classiche baroccheggianti troviamo nel portale centrale della chiesa di San Bartolomeo (1637), che coi suoi capitelli di inusitata forma Jonica ci dà un’esempio di stile e di gusto di indiscusso pregio.

L’espressione più pura del settecento è ben rappresentata nella chiesa del Collegio, costruita dai Basiliani nel 1760 e dedicata al Salvatore. La facciata si presenta solenne e massiccia nelle sue linee schematiche improntata, dal materiale lavico, ad una ieratica serenità.

INDICE PROSPETTICO DELLE OPERE

DI ARCHITETTURA RELIGIOSA A RANDAZZO

 

SECOLI VI – VIII (Epoca Bizantina) 

Cuba di Santa Anastasia.

Cuba di Imbischi.

Cuba di Jannazzo.

SECOLI X – XI (Epoca Normanna)

Campanile di San Martino (I° piano).

SECOLI XIII – XIV (Epoca Sveva)

Chiesa di Santa Maria (parte absidale: 1217 – 1239).

Chiesa di San Nicola (parte absidale).

Campanile di San Martino (II° e III° piano).

Chiesetta di Santo Stefano.

Chiesetta di Tutti Santi (Agathoi).

Chiesetta di San Vito.

SECOLO XV (Epoca Aragonese) 

Chiesa di Santa Maria della Volta.

Chiesa dell’Annunziata del Rovere bello.

Chiesa di Santa Maria dell’Agonia.

Porte laterali della chiesa di San Martino (primo rinascimento).

Portali laterali della chiesa di Santa Maria (primo rinascimento). 

SECOLO XVI (Epoca Rinascimentale)

Interno della chiesa di Santa Maria (1594).

Chiesa di San Nicola (1587).

Chiesetta di San Gregorio.

Portale della chiesa dell’Annunziata (1584).

Portale della chiesa dell’Hecce Homo (Signore della Pietà). 

SECOLO XVII (Età del Barocco)

Chiesa di San Bartolomeo (1637).

Finestre laterali della chiesa di S. Maria. 

SECOLO XVIII (Epoca del Barocco settecentesco)

Facciata della chiesa di San Nicola (Arch. Venanzio Marvuglia).

Facciata della chiesa di San Martino (Anonimo).

Campanile di San Nicola.

Chiesa del Collegio San Basilio (1760).

Portale della chiesa di Santa Caterina (1753). 

SECOLO XIX (Epoca Romantica)

Facciata della Chiesa di Santa Maria (Arch. Saverio Cavallari, Ing. F.sco Caldarera).

 

[1] Per maggiori approfondimenti si consulti il testo dello stesso autore: “Le Cento Chiese di Randazzo . . .”  Catania 2008. Cap. I – Le Cube, pagg. 19 – 27.

[2]  S. Rizzeri: La chiesetta degli Agathoi e i suoi affreschi. Monografia fruibile nello stesso sito.