La Basilica di Santa Maria

La Basilica di Santa Maria

Salvatore Rizzeri

CENNI STORICI SULLA EDIFICAZIONE E TRASFORMAZIONE DELLA BASILICA DI S. MARIA 

( Sec. XIII-XVI-XVIII-XIX )

 

Le Persecuzioni che i Cristiani dovettero subire nei primi tre secoli dopo la venuta di Gesù Cristo costrinsero i fedeli di questa nuova religione ad esercitarne il culto in luoghi appartati e sconosciuti all’ordine costituito che la riteneva fuori Legge. ( la Sicilia era allora una ricca provincia dell’immenso impero romano ). Motivo per cui anche gli abitanti di fede cattolica del villaggio di quella che divenne poi Randazzo, solevano riunirsi di nascosto per pregare in una grotta che sorgeva nei pressi del luogo ove circa dieci secoli dopo venne edificata l’attuale Basilica di Santa Maria Assunta. 

Nel luogo ove sorge la Chiesa si venerava l’immagine della Madonna del Pileri ritrovata all’interno di questa grotta da un pastorello. La Vergine, secondo la leggenda, avrebbe anche salvato il piccolo villaggio da una tremenda eruzione dell’Etna avvenuta nel III Sec. d. C. (Il Plumari parla di un’eruzione avvenuta il 1° Aprile del 254 d.C. ?). Le uniche eruzioni che apportarono grandi devastazioni al territorio, di cui si ha certezza, sono quelle del 1536 - 1614 - 1624 - 1981. L’edificio primitivo della Chiesa era costituito da una piccola cappella in legno edificata dai fedeli sul luogo esatto del ritrovamento dell’immagine. Quella grotta che era stata spettatrice del miracolo della “ Madonna del Pileri [1]

A questa, in un secondo tempo, fu sostituita una chiesetta in muratura ad una sola navata sorta sull’antica grotta, in cui si trovava l’altare ornato dall’immagine miracolosa della Madonna. Il suo orientamento non era conforme a quello dell’attuale Chiesa, ma andava da Nord a Sud, come possiamo dedurre dalla anomala posizione dell’Altare Maggiore su cui campeggiava il famoso affresco del sec. X che, come ci avverte la lapide riportata, fino alla fine dell’ottocento era collocato nel secondo intercolunnio della navata di sinistra entrando dall’attuale Chiesa[2].

La costruzione attuale risale al periodo che va dal 1217 al 1239 come ci afferma una epigrafe a caratteri gotici scolpita nella base di un pilastro della chiesa sotto la sacrestia. L’originario campanile è certamente opera di un “ MAGISTER TIGNOSUS “, nome che appare in un’epigrafe in pietra arenaria, andata dispersa, ma ben rappresentata in uno dei rilievi eseguiti  dall’Arch. Sebastiano Ittar  tra il 1843 e il 1845, allorché eseguì due successivi progetti per il rifacimento della facciata e del vetusto campanile[3]. Altri due elementari disegni del vecchio campanile vennero eseguiti dal capomastro Cristofaro Vanaria, che trovasi presso l’Archivio della chiesa, l’altro del Canonico Don G. Plumari inserito nel manoscritto della sua “Storia di Randazzo . . . . . “ Lo stile è Normanno-svevo con forti influssi dell’arte gotica.

Esterno:

La sua struttura muraria è in conci squadrati di basalto in cui, ad arte, sono state eliminate nelle connessure le tracce di malta. Manomessa dai numerosi restauri o per rifacimenti improntati a criteri stilistici diversi, mostra, nelle condizioni attuali, come parti originarie:

  • la cortina muraria di nord e di sud;
  • le tre poderose absidi di cui abbiamo già precedentemente detto.

A questo punto è necessario fare una considerazione di carattere generale: 

  • Della prima costruzione dugentesca non esistono documenti di sorta;
  • Della costruzione cinquecentesca abbiamo solo quel poco che gli eventi bellici, l’umidità, il vandalismo, ci hanno risparmitato. Purtroppo i volumi dell’Archivio della chiesa che riguardano il cinquecento sono illegibili per le condizioni in cui si trovano; siamo quindi obbligati a fare appello alle pochissime notizie che la tradizione e gli storici locali ci hanno tramandato, oltre alle considerazioni personali che l’attuale costruzione ci consente di fare.

 

L’aver lasciato nella nuova costruzione del 1217 l’altare in tale posizione è un elemento probativo non solo del valore della leggenda, ma anche del fatto che ci rivela, in parte, i passi successivi che la costruzione fece in questi secoli di silenzio assoluto dei documenti. E’ così la chiesetta ad una navatella doveva avere la sua facciata verso l’attuale Corso Umberto con l’absidiola rivolta alle sponde del fiume Alcantara. 

L’EPIGRAFE DELLA CHIESA DI SANTA MARIA

La costruzione del sec. XIII è uno dei monumenti più insigni del periodo svevo e l'unico documento che ci parla della costruzione della Chiesa è l'epigrafe a caratteri gotici scolpita nella base di un pilastro della Chiesa sotto la Sacrestia.

 

Essa è compilata in un latino di difficile interpretazione, anche perchè alterato nel testo dagli errori del lapicida e consta di due parti: la inferiore che si riferisce al compimento dei lavori della costruzione del tempio ( anno 1239 ), e la superiore che riguarda l'inizio di essi ( anno 1217 ).[4]

Il Di Marzo, il Buscemi, il Plumari, il Leopold, l'Orsi che ne fece anche un calco, vi hanno studiato sopra e non si sono trovati tutti d'accordo nell'interpretazione dei passi poco chiari. Le maggiori divergenze riguardano la data e soprattutto quel " Leo Culmine " che per alcuni è il nome del mitico architetto leggendolo " Leo Cumier " e per altri invece indicherebbe lo scudo marmoreo che adorna la fiancata di mezzogiorno della Chiesa.[5]

Il Di Marzo è della seconda opinione e a leggere attentamente la lapide, tenendo conto di tutti i segni di abbreviazione e di tutte le irregolarità delle lettere analizzate, a parere di Don Virzì, ha piena ragione nonostante l'opinione contraria del Leopold che ci dà una trascrizione fedele in lettere gotiche della lapide.[6]

Unico intoppo che ha fatto sorgere tale divergenza è una malaugurata abrasione proprio sulla parola in discussione. Il Leopold fà osservare che è errata tale interpretazione giacchè lo scudo bianco con il leone di Randazzo risale appena al tempo del rifacimento della Chiesa, mentre la lapide sembra originaria.

L'opinione moderna è incline a questa interpretazione e vede il " Leo Cumier " l'architetto costruttore, di origine evidentemente normanna o al più lombarda, che ci ha dato questa splendida costruzione architettonica.

Questi i testi delle due iscrizioni, la più antica è quella indicata col n. 1, la seconda per ordine di posto, ed è questa che presenta le maggiori difficoltà interpretative.

2^ Iscrizione

A.D. M. CC. XXX. VIIII

 ACTUM. E. H. OP.

1^ Iscrizione:

 

+ M. DUCETA. DECE. qQ. SEPTENA. THEMPA. P. GENITU.

SAE. D. VGINI. VBUM. COSTRUIT. TECTI. LAPIDU.

SUBNIXA. COLUMNS. VIGINI. H. AVLA. BIS.

SENIS. ARTE. POLITIS. ARCUBUS. ILLUSTRAT. LEO.

CUMIER. ARTS. H. OP. EGGIU. X. VENERABILE. TEMPLU.

 

Il Di Marzo ed il Buscemi, nello studio che ne fecero, la ridussero in esametri dandone la seguente interpretazione:

2^

MILLA DUCENTA DECEM QUOQUE ET SEPTENA FLUEBANT

TEMPORA POST GENITUM SANCTA DE VIRGINE VERBUM

CONSTRUITUR TECTIS LAPIDUM SUBNIXA COLUMNIS

VIRGINIS HAEC AULA BIS SENIS ARTE POLITIS

ARCUBUS ILLUSTRAT LEO CULMINE ARTE MIRANDA

HOC OPUS EGREGIUM CHRISTI VENRABILE TEMPLUM.

 1^

ANNO DOMINI M.CC.XXX.VIIII.

ACTUM EST OC OPUS.

 

L'iscrizione sopra riportata è preziosissima perché, oltre ad indicarci i termini di tempo della costruzione, ci fornisce in sintesi gli elementi costruttivi di essa. Era tutta di pietra squadrata comprese le volte, probabilmente costolonate, che poggiavano su sei archi sostenuti da colonne " opera di gran pregio ", specifica l'epigrafe, e lavorati con " arte miranda ". Purtroppo la vecchia costruzione andò alterata lungo i secoli, e solo quanto ci rivela la sopracitata iscrizione e gli elementi che ancora possiamo rilevare dalle strutture esterne, ci fanno constatare che tutta questa costruzione si inseriva in quella corrente del gotico federiciano che, avvalendosi degli elementi portati in Sicilia dai Cluniacensi e dai Cistencensi, ci seppe dare quei monumenti che sono una gloriosa pagina della storia dell'arte siciliana.

Nell’anno del Signore 1239 questa opera fu portata a termine

 

Nel lasso di tempo del 1217 dopo la nascita dalla Vergine Maria

del Verbo, fu costruito questo edificio coperto da volte in pietra sopra

archi sostenuti da dodici colonne lavorate con arte esemplare.

Un leone collocato sopra la parte terminale orna con arte questa

opera egregia, tempio venerabile di Cristo.[7]

 

Mille duecento dieci ed anche una settina d’anni dopo la nascita dalla Vergine del Verbo Unigenito, viene costruita la Chiesa della Santa Vergine appoggiata con gli archi del triplice tetto a doppia serie (12) di sei colonne di pietra egregiamente lavorate. Leone Cumier illustra questo venerabile Tempio cristiano.[8]

La storia artistica del complesso architettonico della chiesa non è semplice, sorta come tempio della " Madonna delPileri ", alla fine del secolo XVI subì la prima trasformazione grazie alla donazione della Baronessa GIOVANNELLA DE QUATRIS (  ? - 16.07.1529 ), sposata a Pietro Rizzari, che con atto del 5 Marzo 1506 in Notar Geronimo Crupi da Palermo, dona alla chiesa tutti i suoi averi. La chiesa, grazie a questo immenso patrimonio, viene trasformata ed ingrandita a tre navate a Croce Latina, con colonne monolitiche in pietra basaltica e decorata con stucchi alle pareti. Il progetto è redatto dal grande Arch. Toscano del Senato messinese ANDREACALAMECH ( Carrara 1524 –  Messina 1589 ), allievo del Michelangelesco Bartolomeo Ammannati.  Consegnato nell’anno 1589 stravolge le linee architettoniche originali, e pur non eliminando del tutto l’elemento Siculo-Catalanofa assumere al tempio l’aspetto Rinascimentale di influsso Brunelleschiano (Chiesa di S. Lorenzo e di S. Spirito in Firenze). Tre navate con colonne monolitiche a Croce latina, con Altare Maggiore e stucchi sulle pareti. I lavori vengono ultimati nel 1594, Procuratore della chiesa Sebastiano Cavallaro (una pietra collocata al centro della scalinata del portale di tramontana ne ricordano l’evento).

Con la Chiesa di San Lorenzo li accomuna non solo l’aspetto architettonico dell’interno, ma anche la presenza in entrambe le chiese di due dipinti aventi lo stesso soggetto: Il Martirio di San Lorenzo e l’Annunciazione a Randazzo realizzati, il primo da Onofrio Gabrieli (1616 - 1706), il secondo da Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ), a Firenze intorno al 1465 da Filippo Lippi su commissione di Cosimo de Medici.

Artista eccentrico il Lippi che era un Frate Francescano, quando tra il 1452 e il 1466 si trasferì a Prato per affrescare nel Coro della Cattedrale le storie dei Santi Stefano e Giovanni. Sua modella fu una certa Lucrezia Buti, suora del Convento di Santa Margherita di Prato che divenne la sua amante prima, e moglie dopo che Cosimo de Medici nel 1466 chiese a Papa Pio II di sciogliere i voti ad entrambi.

Altra trasformazione avvenne alla fine del sec. XVIII ad opera di un altro grande Architetto siciliano, il palermitano G. VENANZIO MARVUGLIA (1729 -1814). Viene incaricato della redazione del progetto il 2/05/1787. Lo consegna agli amministratori della chiesa nell’estate del 1789. Assistente ai lavoril’Arch. Basiliano Don Basilio Gullo. I lavori hanno inizio nel 1789 e si completano nel 1805. Quelli per l’innalzamento della Cupola hanno inizio nel 1802, sotto la direzione dell’Ing. Emmanuele Incardona, vengono ultimati nell’anno 1804. La Cupola mal progettata ed eseguita, dà subito problemi ed i continui lavori di riparazione durano dal 1804 al 1820 sotto la direzione dell’Ing. Incardona. Vengono risolti definitivamente col suo rifacimento nel1982 ad opera dell’Impresa  Castorina di Randazzo. (Eliminazione del pesante rivestimento con mattoni di piombo e sostituzione con eleganti e più adeguati “spicchi” in rame saldato, opera eseguita dai Maestri randazzesi F.lli Iapichino). Gli stucchi sono opera di M.° Giuseppe Gianforma di Catania e di M.° Paolo Cimino di Messina, anni 1813 – 1818.Si creò un transetto e, come si è detto, venne innalzata la cupola (1802-1804). Ciò che rimaneva della linea gotica lasciò definitivamente il posto al rifacimento rinascimentale a colonne laviche monolitiche di grandissimo effetto architettonico, il cui nero metallico spicca sul bianco dell'intonaco dando risalto alla solennità delle linee. I lavori hanno termine nel 1805.

Lavori del Sec. XIX - Prospetto e Campanile

I due successivi progetti di SEBASTIANO ITTAR del 1843 e 1844 non piacciono agli Amministratori dell’Opera, in particolare il secondo suscita diverse perplessità, tanto che viene dato incarico ai due Architetti Randazzesi, Ingg. LA PIANA e CALDARERA di farne cosciente valutazione. Le risultanze sono le seguenti:

  • Non ha solidità,
  • Non si confà all’architettura della Chiesa,
  • E’ inesatto lo stato estimativo,
  • Il Campanile non sopporterebbe il peso delle grosse campane esistenti.

Il problema viene risolto dal Real Governo che con missiva del 27/09/1851 incarica del progetto e della direzione dei lavori l’Arch. Siracusano FRANCESCO SAVERIO CAVALLARI. I lavori procedono dal 1852 al 1854, anno in cui il Cavallari abbandona i lavori essendo stato nominato Docente di ingegneria al Politecnico di Milano.Vengono allora incaricati del proseguimento e completamento dei lavori Don FRANCESCO CALDARERA - Ingegnere Capo del Corpo Acque e Strade del Real Governo a Palermo (Randazzo 5 Maggio 1825 – 17 Settembre 1920), cittadino Randazzese, Matematico e Docente presso la Regia Università di Palermo, e l’Arch. Don DOMENICO MARVUGLIA. Tra il 1855 ed il 1863 i lavori, tra alterne vicende anche di ordine legale, vengono portati a termine. Completano la facciata e ricostruiscono il fatiscente campanile, ispirandosi fortunatamente ad esempi normanni della capitale, creando così un complesso architettonico di grande effetto grazie anche alle modanature in calcare di Siracusa, molte delle quali sono originali e appartengono al vecchio campanile diroccato. I capitelli delle finestre sono tutti diversi e riproducono soggetti della flora e della fauna locale.Singolarissimi, come li definisce il Virzì, i portali quattrocenteschi di tramontana e di mezzogiorno, quest'ultimo di sapore catalano-rinascimentale con elementi tardo aragonesi. Ornamento di grande pregio artistico, appartenente a scuola pisana, è la statuetta marmorea della Madonna collocata nella lunetta superiore.

Particolarmente degno di nota è lo stemma marmoreo della città che spicca nella facciata nera di sud-est della chiesa. Il 24 Novembre 1863 gli Ingg. Caldarera e Marvuglia consegnano agli Amministratori dell’Opera le misure finali di tutte le opere eseguite.

 La Sacrestia

Ambiente di grande valore artistico è la Sacrestia della Basilica, essa poggia su un archeggiato a fornici e il luogo ove essa sorge viene a distanza di secoli tutt’ora chiamato dal popolo “ Tribonia “  dal latino “ Tribunal “. Al piano terra della Sacrestia aveva infatti sede il Tribunale Ecclesiastico che a Randazzo operò fino agli inizi del 1800.

Il  30 Gennaio 1671 un terribile uragano abbatté un quinto del muro della Chiesa adiacente la Cappella del “ Volto di San Luca “ e l’intera Sacrestia.

M° Cristoforo Vanariasu disposizione dell’Amministratore dell’Opera si reca a Messina incaricando per la nuova progettazione l’Arch. Pittore e Scultore DOMENICO SCILLA che nel 1672 giunge a Randazzo ed in pochi giorni esegue il progetto dell’attuale Sacrestia su Linee architettoniche tardo-Rinascimentali.

I lavori per la sua costruzione vengono eseguiti tra il 1672 ed il 1679, l’aspetto architettonico ci ricorda per somiglianza quello dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze.

 L'INTERNO DELLA BASILICA 

 

L'interno della Basilica è ricchissimo di opere d'arte di varia natura, ci limiteremo qui a farne una elencazione la più completa possibile, rimandando il lettore ad altre opere che meglio descrivono le loro caratteristiche e la loro interessante storia:

 

 

La Basilica vista da Via “ Sottana “ negli anni ‘30

 

In questa Chiesa, in quanto di rito latino, nell’anno 1088 celebrò messa

Papa Urbano II. ( Il Papa della I^ Crociata – Dio lo vuole )

a) Colonna Monolitica.

1) Misure Aragonesi – Sec. XIV.

Per antica concessione la chiesa godeva il privilegio della conservazione delle misure tipo dei cereali e dei liquidi: il Moggio ( Modium ) per i cereali e l'Orcio per i liquidi, la loro capacità è rispettivamente di litri 22 e litri 9. Sono di pietra, molto pesanti in modo che nessuno potesse asportarle, e vi è scolpito sopra lo stemma aragonese.

2) Ignoto:

Fonte Battesimale – 1565.

E' un pezzo pregevolissimo di scultura in marmo bianco della scuola messinese a forma leggermente ottagonale. 

3)  Francesco Finocchiaro ( Randazzo 15/03/1868 – Taormina 26/04/1947)

Battesimo di Gesù – 1895.

Si tratta della copia di un dipinto del Piatti, esistente nel Duomo di Ferrara eseguita da questo artista randazzese di cui poco sappiamo. Emigrato negli Stati Uniti fece una grossa fortuna e le sue opere furono ben apprezzate. Eseguì anche i ritratti di Eleonora e Theodore Roosevelt, quest’ultimo ancora esposto alla Casa Bianca. Ben introdotto negli ambienti artistici e culturali, godette dell’amicizia del tenore Enrico Caruso, dei direttori del Corriere della Sera Luigi Barzini e Luigi Albertini. 

4)  Onofrio Gabrieli ( 1616 - 1706 ):

Martirio di San Lorenzo.

(Gli elementi chiaroscurali che caratterizzano l’opera si rifanno all’arte e alla pittura

 tipiche di Michelangelo Merisi “Il Caravaggio”).

Stupenda opera che risente degli influssi artistici introdotti dal Caravaggio. Il martire rivolgendosi ai suoi carnefici dice: “sono cotto da questa parte potete girarmi”.

5) Giovanni Van Houmbraken ( sec. XVII ):

Crocifissione – 1656.

La pittura ha le tipiche caratteristiche dell'arte Caravaggesca, i suoi violenti e freddi chiaroscuri le fanno assumere, pertanto, un alto effetto cromatico. A giudizio di illustri maestri d'arte e di critica è tra le migliori tele che possiede la chiesa. 

6) Girolamo Alibrandi ( 1470 - 1524 ):

Salvezza di Randazzo – sec. XVI.

La Madonna è nell'atto di pregare il Signore affinché la lava dell'Etna risparmi Randazzo. Molto bella la visione d'insieme della città come era nel 1500, con le tre cattedrali ed il castello facilmente riconoscibili. 

7) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Sacra Famiglia – 1823.

Dei sei dipinti di questo autore presenti nella chiesa, è artisticamente il meno pregevole. Si tratta certamente di un quadro di bottega eseguito sicuramente dagli allievi del maestro.

8) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

L’Assunzione di Maria Vergine – 1810.

E' uno dei pochi quadri del maestro ad essere stato firmato.  La firma si trova sul piano di una pietra. Nell'urna sotto l'altare si trovano le reliquie del Beato Luigi Rabatà martire randazzese del sec. XV originario di Erice.

In fondo alla navata di destra, nella Cappella del Crocifisso, troviamo altre tre opere d'arte di grande pregio artistico: 

9) G. Domenico Sgarlata – Sec. XVI:

Tomba a mausoleo della Baronessa Giovannella De Quatris – 1564.

L'opera è in pietra basaltica e si trova collocata nella parete destra della Cappella del Crocifisso. Il mezzobusto in marmo bianco è opera del primo ottocento eseguito da uno sconosciuto artista palermitano.

10) Frate Umile da Petralia ( 1601 - 1639 ):

Al secolo Giovanni Pintorno, Fraticello Francescano.

Crocifisso ligneo Sec. XVII.

Si trovava nel Monastero di S. Maria di Gesù, bruciacchiato e mal ridotto dagli eventi bellici, venne restaurato nel 1976 dall'artista randazzese prof. Nunzio Trazzera. Randazzo aveva la fortuna di possederne due dei 33 eseguiti dal fraticello stando in ginoccchio. Quello di S. Nicola venne distrutto dai bombardamenti del Luglio-Agosto 1943 durante il II° conflitto mondiale. 

11) Giovanni Caniglia sec. XVI:

Dormizione, Assunzione ed Incoronazione di Maria V. – 1548.

Pittura ad olio su tavola di pioppo. Si trova allocato nella parete di sinistra della Cappella del Crocifisso, il quadro è datato ( 1548 ) e firmato in basso a sinistra. Si ritiene che questo dipinto abbia ispirato il progettista del carro trionfale della "Vara", che è appunto dello stesso periodo. 

12) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Incoronazione di Maria V. – 1810.

Don Virzì commentando l'opera, in uno dei suoi tanti scritti, afferma che in questa tela " traspare tutto l'amore dell'autore alla grandiosità iconografica e al cromatismo più vario ". 

13) Pietro Vanni ( 1845 - 1905 ):

Madonna col Bambino – 1866.

Collocata sull’Altare maggiore, l’immagine della Madonna è ritratta seduta su un massiccio trono con in braccio il Bambino che sparge con le sue manine un cumulo di rose. 

14) Gaspare Guercio – Sec. XVII:

Altare Maggiore – 1663.

Pregevolissima opera in tarsia del sec. XVII di scuola palermitana in cui concorrono tutti i motivi ornamentali dell’arte barocca. 

15) Ignoto - sec. XIV:

La Pentecoste.

Si tratta di una buona opera del 1400, posta sulla parete di sinistra del Coro è stata eseguita su tavola. Molto singolare la testa che si affaccia sull'angolo sinistro in basso della tela, si tratta forse del volto dell'autore che ha voluto immortalarsi ! Oppure l’immagine del nobile che ha ordinato e pagato l’opera pittorica.

16) Ignoto - sec. XVI:

Ciborio marmoreo – 1593.

Si trova nella Cappella del Santissimo ed è opera appartenente alla scuola messinese.

17) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Annunciazione di Maria Vergine – 1810.

La tela si trova sull'altare del transetto a sinistra. 

18) Giuseppe Velasquez ( 1750 -1827 ):

 

Martirio di S. Andrea – 1820.

Opera di grande pregio artistico per la quale il maestro richiese una somma maggiore di quella pattuita. E' il secondo dei sei quadri eseguiti dall'artista per la chiesa ad essere firmato ( in basso a destra ). 

19) Ignoto - sec. XIII:

Affresco della Madonna del “ Pileri “.

Nel corso dei secoli questo affresco, molto venerato in passato, ha avuto diverse sistemazioni all'interno della chiesa. Dopo l'ultimo restauro avvenuto nel 1962 è stato definitivamente sistemato sulla porta di tramontana nella navata di sinistra. Molto bella ed interessante la storia di quest'opera che viene narrata nel quadretto appeso sotto di essa.

20) Daniele Monteleone:

Martirio di S. Sebastiano – 1614.

Il dipinto di questo bravo artista siracusano risente molto degli influssi e della scuola del Caravaggio.

21)  Onofrio Gabrieli ( 1616 - 1706 ):

Martirio di Sant’Agata – Sec. XVII.

Cresciuto alla scuola pittorica messinese, questo grande artista randazzese, animo inquieto e rivoluzionario, ha lasciato nella sua città natale numerose opere pittoriche.

22) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Martirio dei Santi Filippo e Giacomo – 1820. 

23) Filippo Tancredi ( 1655 – 1725 ):

Affreschi della volta – Sec. XVII.

In origine le scene dipinte erano sicuramente sette, mentre attualmente ne esistono soltanto cinque, essendo state distrutte le altre due in occasione della creazione del transetto e della cupola. 

  1. L’Annunciazione;
  2. La visita a S. Elisabetta;
  3. La presentazione al Tempio di Maria V.
  4. La Purificazione;
  5. La Circoncisione.

24)  Tommaso Spitaleri da Troina ( 1768 )

Vecchi stalli del coro recanti vari misteri marianitrasformati in armadi nel sec. XIX.

25)  M.° Cristofaro Vanaria – M° Gabriele Gigante

Armadio in pesante stile barocco. 

Ci siamo limitati ad elencare solamente parte delle opere d'arte che la Basilica detiene, quelle cioè fruibili al pubblico, ma la chiesa possiede anche un ricchissimo “ Tesoro “ con oggetti sacri in oro, argento e pietre preziose di alto valore artistico. Per ovvi motivi di sicurezza e non disponendo la chiesa di locali idonei, per il momento non viene esposto al pubblico. 

La Basilica possedeva inoltre un grandissimo e meraviglioso Organo costruito a Napoli (1568 – 1574). Era a nove Registri e costò la considerevole somma di Onze 511. Venne successivamente revisionato e risistemato all’interno della Chiesa – dietro l’Altare Maggiore - da Simone Andronico e Figlio. Purtroppo gli eventi bellici che interessarono Randazzo dal 13 Luglio al 13 Agosto 1943 ne causarono l’incendio e la distruzione. (L’unica bomba d’aereo che centrò la Chiesa interessò l’abside centrale proprio dove era collocato l’organo. Fortunatamente si salvò il bellissimo Altare maggiore).

Un ultimo colpo d’occhio alla facciata e allo snello campanile della Basilica, unici nella loro splendente bicromia, ove spiccano, fra l’altro, gli angioletti che fanno da mensola ai fianchi delle due porte laterali e i capitelli del campanile, tutti diversi l’uno dall’altro, e volgiamo subito lo sguardo ad altre meraviglie artistiche meritevoli della nostra attenzione.

 

[1]  G. Plumari:  Storia di Randazzo – Ms. Palermo ( Qq. G. 76 – 77 ) Vol. I pag. 2.

[2]  M. Mandalari: Ricordi di Sicilia – Randazzo. Città di Castello 1902, pag. 104.

[3]  Archivio di Stato di Palermo – Fondo: Ministero e Segreteria di Stato. Ripartimento Lavori Pubblici (1819.1865).

[4]  S. C. Virzì: o.c. pag. 21.

[5]  M. Mandalari - Ricordi di Sicilia: Randazzo - Città di Castello 1902, pag. 194. 

[6]  W. Leopold - Sizilianische Bauten des Mittelaiters in Castrogiovanni, PiazzaArmeria, Nicosia und Randazzo

    Berlin   191, pagg. 53 - 57.

[7] S.C. Virzì: Randazzo Notizie n. 1. Maggio 1982 - Traduzione del testo.

[8] Dalla gran parte dei critici è la traduzione ritenuta più rispondente alla reale volontà del lapidicista.