A proposito dell'antica Triocala-Triocla

A proposito dell'antica Triocala-Triocla

Salvatore Rizzeri

A PROPOSITO DELL'ANTICA CITTA’ DI TRIOCALA-TRIOCLA

L’Abate Vito Amico[1] definisce Triocala, città antichissima senza però nulla dirci sull’epoca della sua fondazione, accenna solamente che già esisteva al tempo di Dionisio il Vecchio, così come afferma Filisto, coetaneo di detto Tiranno, che la chiama “Triocalum et Triocala“. Del suo ampliamento parlano anche Diodoro Siculo ed il Cluverio, mentre Silio Italico riferisce che numerosi cittadini di Triocala fecero parte delle truppe ausiliarie del Console Romano Marcello, molto tempo prima della Guerra Servile, verosimilmente durante la Seconda Guerra Punica, partecipando anche all’assedio e alla conquista di Siracusa. M. Tullio Cicerone la nomina nella V^ Orazione contro Verre, dicendo che venne ristrutturata dopo essere stata occupata dai Servi e facendo cenno ad un siciliano, certo Leonida e tutta la sua famiglia, caduti in sospetto a Verre per avere ordito una congiura contro i Romani.[2] Nell’anno 104 a.C. scoppia la rivolta degli schiavi in Sicilia, dalla parte orientale dell’Isola, dove ha inizio, si propaga rapidamente a quella occidentale.

La prima grande battaglia tra gli schiavi comandati da un certo Salvio e l’esercito Romano al comando del Pretore Licinio Nerva, inviato per sedare la rivolta, si ebbe quello stesso anno nei pressi della città di Murganzia (Sicilia Orientale). La vittoria arrise però agli schiavi che fecero anche quattromila prigionieri. Dopo la vittoria di Murganzia Salvio strinse un’alleanza con l’altro capo ribelle, Atenione, e riunite le loro forze in un unico esercito, assalirono ed espugnarono la citta di Triocala.

Fattosi proclamare Re con il nome di TRIFONE; elesse Triocala a capitale e sua residenza facendola cingere di mura e di fossati.

La rivolta intanto si era estesa in tutta l'isola, a quel punto il Senato richiamò Licinio Nerva e inviò in Sicilia nel 103 a.C. il Propretore Licinio Lucullo con un esercito di diciassettemila uomini. Uniti al suo esercito i soldati che erano già nell'isola, Lucullo marciò contro Triocala. L'esercito ribelle, forte di quarantamila uomini, si mosse contro i Romani ed entrò in battaglia presso Acristia.[3]

L’Abate V. Amico,[4] unitamente al Cluverio, fa derivare il nome Acristia dall’antica Scirthaea, e pone questa città non molto lontana da Triocala, però ritenendo l’Amico che tale città sorgesse nei pressi di Caltabellotta, pensò che anche Acristia sorgesse in quell’area. Il La Monaca invece,[5] col Fazello, la pongono tra Burgio e Villafranca dicendo che fu abbandonata intorno al Sec. XIV. Da tale abbandono, egli dice, ebbe incremento il Comune di Burgio.

Padre Luigi da Randazzo afferma invece, con dati alla mano, che Acristia detta Cristia ed infine Cristina, era nel Valdemone, nella piana di Milazzo, proprio dove ora sorge Castroreale. 

“. . . .  Ciò lo ricaviamo da due Diplomi di Federico III. Nel primo, datato 1320, si dice che il Castrum Cristiae di cui era Barone Francesco Ventimiglia, fu riscattato e restituito al Demanio dal Re Federico II. Nel secondo, del 1324, che lo stesso Re fece ivi costruire il Castello col fortilizio e delle case nell’abitato. - Considerantes fidem et obedientiam Universitatis Nominum Terrae Christine de Plane Milatii Nostrorum Fidelium . . . .  Castrum, Fortalitium, et terram ipsam Christinam quae et quam pro majori securitate dictorum Nostrorum Fidelium construi providimus etc. Ex Regia Cancellaria Siciliae “. [6] 

La mischia fu furiosa e grandi prove di valore fornì Atenione. Ferito per ben due volte alle ginocchia continuò a combattere; ferito una terza volta, cadde al suolo e si salvò fingendosi morto.

Ma i suoi, credendolo effettivamente morto, abbandonarono la battaglia e fuggirono a chiudersi nuovamente nella fortificata Triocala, dove poi con il favore della notte si rifugiò il ferito Atenione. L'avvilimento dei ribelli per la sconfitta patita a Scirtea era però piuttosto sentito, tanto che se Lucullo in quel momento avesse subito assalito Triocala gli sarebbe stato facile impadronirsene; invece  indugiò nove giorni e questo tempo fu prezioso per gli schiavi, che, rianimatisi, riuscirono a consolidare la resistenza e anche con sortite a respingere il propretore infliggendogli gravi perdite. Il Senato, visti gli insuccessi, richiamò a Roma pure lui e inviò in Sicilia nel 102 a.C., Caio Servilio; ma questi, peggio del suo predecessore, condusse fiaccamente la guerra contro Atenione, il quale aveva assunto il supremo comando e faceva continue e audaci scorrerie nell'isola spingendosi perfino a Messena (Messina). Di Trifone si dice poi che, fuggendo da Triocla, cercò di rifugiarsi in altre città amiche, ma inseguito dalla cavalleria romana, venne ucciso in Demena, città sottoposta all’Etna, non molto distante da Triocla.

La Repubblica, nel successivo anno 101, si vide pertanto costretta ad inviare nell'isola il console Manlio Aquilio, un prode guerriero che aveva combattuto alle dipendenze di Mario in qualità di luogotenente. Ed infatti Aquilio finalmente riuscì con grande energia a domare la rivolta. Ingaggiata la battaglia con i ribelli, inflisse loro una tremenda e decisiva sconfitta. Mentre era in corso la mischia con tutta la sua violenza, Aquilio e Atenione, si trovarono uno di fronte all'altro e si misurarono con le armi, fornendo entrambi una grande prova di bravura e di coraggio. Ma ad un certo punto dopo un accanito combattimento, ferendosi a vicenda, la peggio toccò al capo degl'insorti; un colpo fatale raggiunse Atenione che rimase stecchito al suolo; Aquilio, sebbene gravemente ferito, continuò la lotta nella quale gli schiavi furono poi sbaragliati. 

Giovan Battista Caruso (1673 - 1724) narra la fine di questa seconda Guerra servile, con queste parole: 

“. . . Venuto Aquilio nell’Isola ed assunto il comando dell’esercito romano che sì malamente aveva amministrato Caio Servilio, dopo aver stabilito la militare disciplina e fatte le necessarie provvisioni per riempire i magazzini di grano, marciò per combattere i sollevati e, venuto con esso loro a battaglia campale, ne ottenne una completa e gloriosa vittoria, avendo ucciso di sua mano Atenione, dei cui seguaci ne restarono diecimila estinti sul campo.

Quindi senza dare al­cuna requie ai fuggitivi, mandò Aquilio ad esterminarli dentro Triocala e dentro gli altri luoghi nei quali eransi rinserrati, passandoli tutti a fil di spada e non concedendo alcun quartiere. É vero che uno dei Capi sollevati, per nome Satiro, difendendosi ostinatamente in un sito quasi inaccessibile, con mille altri dei suoi compagni, obbligato alla fine dalla fame a rendersi prigioniero, ottenne dal Console, con tutti i suoi, se non la libertà almeno la vita”.[7] 

Relativamente a questa ultima affermazione del Caruso, ecco cosa scrive il Canonico Giuseppe Recupero (1720 - 1778) nella sua opera:

“ . . .  Negli anni di Roma 650, successe in Sicilia la seconda Guerra Servile, accompagnata da infinite stragi e scorrerie, secondo quanto viene minutamente descritto da Diodoro. Difatti poi la maggior parte dei ribelli vennero uccisi da Marco Aquilio, ne restarono un branco di soli mille il di cui capo era Satiro, stimò bene il Console di non ucciderli, ma prenderli tutti vivi, però feceli stringere con l’assedio nel luogo ove eransi rifugiati e che, secondo un manoscritto dell’Anonimo di Sciacca, era la Villa Aquilia che oggi cresciuta viene ubicato ove è ora Acireale “.[8]   

Tornando ora alle varie affermazioni circa l’esatta ubicazione di Triocala diciamo che il La Monaca la pone non lungi da Caltabellotta, edificata dai Saraceni con le rovine di questa, aggiungendo inoltre che non è da prendere in considerazione l’opinione del Ferrario e del Ruscelli che affermano essere Randazzo la Triocla di Tolomeo. Il La Monaca, però, non fornisce alcun argomento a conferma della sua tesi. Il Fazello e gli altri storici che a lui fanno riferimento asseriscono che Triocala ebbe la sua esistenza presso Caltabellotta poiché sul Tempio della Badia di San Giorgio, edificata dal Gran Conte Ruggero, si legge l’epigrafe “ Divo Georgio Trioclae “, a S. Giorgio di Triocla, motivo per cui quella città che non esiste più si doveva chiamare Triocla o S. Giorgio di Triocla. Rispettiamo l’autorevolezza del Fazello, ma in concreto l’affermazione dello storico ci appare di scarsissima consistenza.

Il La Monaca nella sua opera scrive che Triocala fu edificata all’epoca delle colonie greche; nell’era Cristiana fu Città Vescovile ed il primo suo Vescovo fu S. Pellegrino, li inviato dal Principe degli Apostoli.[9] Trifone capo dei servi fuggitivi vi stabilì la sua sede, che ingrandì e circondò di mura. La città venne distrutta nella guerra servile, come afferma Silio Italico: 

Et mox servili vastate Triocala bello “.[10] 

Ricostruita per ordine di Cesare Ottaviano Augusto, venne successivamente rasa al suolo dai Saraceni che convertirono l’antico Teatro Greco in accampamento di soldati.

“. . . Vetusta tradizione, fiancheggiata in ogni tempo da monumenti irrefragabili, ci ha fatto conoscere che il sito della Triocala non è nella Città Vecchia di Randazzo, ove si dimostra l’esistenza della Tiracia, né tampoco nell’altro locale del Castello di Spanò ove si ravvisa la città di Alesa Mediterranea, ma nello stesso topografico sito ove sorge Randazzo. Ed anche ciò come Città posta ai piedi dell’Etna, nella Valle di Demena, nella cui capitale, come ci attesta Cesare Ottaviano Gaetano, nella vita di Santa Lucia, riportando un passo del Vescovo Uriano,[11] restò ucciso il vinto Trifone capo degli schiavi sollevati ”.[12] 

Un interessante contributo per la esatta collocazione geografica della città potrebbe venirci dalle rarissime monete rinvenute, nelle quali, a lettere greche, vi si legge Triocala. Due di queste sono state esposte dal Paruta,[13] di esse parlò anche l’Abate Vito Amico nel Lessico Topografico alla voce Triocala; una era d’argento, l’altra di bronzo, mentre la terza, edita dal Sestini, venne ritenuta la più rara in assoluto.[14]

In una di queste monete si vede, nel verso, la parte anteriore di mezzo cavallo, con le lettere greche: TPIAKALA, mentre nel recto è incisa la figura di un giovane ignudo che tiene un bue o altro animale per le corna. In un’altra si scorge, nell’uno e nell’altro lato, un fulmine oltre al nome di TPIAKALA indicato su un lato, mentre nell’altro contiene l’iscrizione greca DIOS NIKE, cioè Jovis victoris. Tale vittoria, afferma il Massa,[15] si riferisce a quella che Giove, con gli altri numi celesti, riportò contro Porfirione e i suoi compagni i quali ebbero l’ardire di muovergli guerra.

Nella terza moneta, al posto del giovane ignudo, si vede un giovane guerriero con l’elmo sul capo, probabilmente Giove, che tiene un animale cornuto avente la coda eretta in alto. Sull’altra faccia della moneta appare il mezzo cavallo con l’iscrizione TPIAKALA.

L’uomo ignudo o indica il Ciclope Piracmone, mitico fondatore della nostra città, o rappresenta Vulcano che tiene il bue per indicare che il Monte Etna, per i suoi pascoli, è ricco di animali da pastorizia e di cavalli per cui, non a caso, vi fu coniato il bue o l’ariete che sia, e la parte anteriore del cavallo. I fulmini poi dell’altra medaglia sono allusivi ai fulmini di Giove che la mitologia dice essere forgiati nell’officina dell’Etna dai suoi ministri Ciclopi, fra cui Piracmone. 

Il “Dizionario delle sette lingue“, di Ambrogio Calepino, pubblicato a Venezia nel 1668, benché seguace del Fazello, non lascia di indicare il vero sito di questa città quando afferma che:

“ . . .  Triocala sive Triocla, Città Mediterranea dopo Messina “. 

Intendendo con tale espressione significare come Triocla non fosse distante da Messina e pertanto totalmente lontana da Caltabellotta. Il luogo più congruente è quindi Randazzo. Tale espressione infatti corrisponde perfettamente all’itinerario seguito dal Console romano Lucullo che diede battaglia ad Atenione presso Acristia, nella Piana di Milazzo, per proseguire poi verso Triocala dove era la fortezza di Trifone.

Nella Carta Geografica di Tolomeo viene indicata Triocla poco distante da Caltabellotta, ma nell’anno 1574 Girolamo Ruscelli, che fu il traduttore dal greco idioma in quello italiano e l’emendatore degli errori incorsi nella Carta Geografica di Claudio Tolomeo Alessandrino, nella Tavola che precede ai nomi antichi e moderni di tutte le Città, alla lettera “ T “ ha scritto: “Triocla, Città di Randazzo, gradi 38.10 – 36.45 ”.[16] 

Anche il Bevilacqua, contemporaneo del Fazello, ha scritto: “. . Randazzo = Triocla – Trioclae “ riconoscendo quindi il sito di Triocla quello ove attualmente sorge Randazzo.[17] 

Lo stesso Abate V. Amico alla voce “Randatium”, la descrive così come si presentava ai suoi tempi:

“ . . .  le strade di questa nuova Triocla che oggi si appella Randazzo sono rimaste nello stesso piano regolatore originario . .“.[18] 

Tralasciando altri importanti documenti storici non possiamo fare a meno di menzionare quanto affermato dall’autorevolissimo Mons. Francesco Gonzaga (1546 - 1620) Generale dell’Ordine Francescano, Vescovo di Bitonto e poi di Cefalù. Il Prelato scrivendo della fondazione del Convento dei Frati Minori Osservanti di Randazzo, dedicato a S. Maria di Gesù, afferma che: 

 “ . . .  questo Convento di S. Maria di Gesù di Triocla, vulgo Randazzo, ventunesimo di Sicilia, è stato fabbricato, a spese pubbliche dai cittadini nel 1420 “.[19] 

Questa data di fondazione del Convento di Triocala-Randazzo, è pertanto anteriore di circa due secoli dallo scritto del Fazello, che evidentemente ha fatto un po’ di confusione.

Da rilevare anche che, quando il Gonzaga accenna nel suo testo che il Convento è stato eretto a spese del pubblico, aggiunge ancora che i Giurati della Città donarono come locale dell’erigendo Convento alcune fabbriche antiche spettanti a questa Università sita “prope Trioclam eorum Civitatem vulgo Randazzo, le quali erano “avanzi dell’Antico Teatro di Triocala, distrutto dai Saraceni dell'Emiro Giafar ibn-Muhammed  che conquistano la città nell'anno 877 e da loro riconvertito in quartiere per soldati. In epoca successiva tale immobile passò al demanio del Comune di Randazzo, che lo utilizzò come deposito.[20]

L’atto di donazione del terreno ed altre costruzioni appartenenti all'Università di Randazzo su cui edificare il Convento e quindi la Chiesa venne stipulato in data 3 Gennaio 1420 dal Notaio Guglielmo Milia. Questa donazione venne confermata dal serenissimo Re Alfonso 

 "Con diploma, che leggesi copiato alla margine dell'istrumento di essa donazione stipolata in Randazzo per le tavole di detto Notaio ".[21] 

Anche Filadelfo Mugnos chiama Randazzo col suo primitivo nome di “Triocla,[22] e lo stesso Michele Amari la definisce “Troculum.[23] Pertanto, alla luce della gran mole di documenti e delle molteplici indicazioni di moltissimi qualificati storici che in modo rigoroso, già in passato, si sono occupati di tale controverso argomento, tenuto conto inoltre della totale ed inequivocabile coincidenza nella descrizione  degli avvenimenti bellici e dei luoghi ove si svolsero, con il territorio della progenitrice di Randazzo,  e non certo di Caltabellotta, non rimane che trarne l’opportuna e corretta conclusione in ordine al grossolano errore in cui, a suo tempo, incapparono il La Monaca e il Fazello.

 

[1]  V. Amico: Lessico Top. Sic.  Tomo II°, P. II^, voce: Triocala.

[2]  M. T. Cicerone: Verrem. Liber Quintus.De Suppliciis.

[3]  G. Battista Caruso: Memorie storiche di Sicilia.  Pag. 111 e seg.

[4]  V. Amico: Lessico Top. Sic.  Tomo II°, P. II^, pag. 160.

[5]  Emanuele La Monaca: Città antiche di Sicilia. Catania 1846Vocce: Acristia, pag. 6, n. 5.

[6]  Padre Luigi da Randazzo: Cenni Storici della Città di Randazzo. 1946, D. O. Ined. Pag. 40.

[7]  G. Battista Caruso: Opera e luogo citato, pag. 113.

[8]  Giuseppe Recupero: Storia Naturale Generale dell’Etna.  Catania 1815.

[9]   E. La Monaca: Città antiche di Sicilia. Catania 1846, Pag. 72 n. 136.

[10]  Silio Italico: Punica. Poema storico in XVII libri.

[11]  Cesare Ottaviano Gaetano: Vitae Sanctorum Siculorum.

[12]  P. Luigi da Randazzo: Cenni Storici della Città di Randazzo.  1946, D. O. Inedito Pag. 41.

[13]  Philippi Parutae: Sicilia numismatica cum commentariis Sigilberti Havercampii, Georgi Gualterii. Lugduni Batavorum. Vander 1723.

[14]  G. Lancillotto Castelli: Siciliae populorum et urbium; Regum quoque et Tyrannorum veteres nummi. Panormi, Regiis, 1781. Typis 

[15]  P. Giovanni A. Massa: La Sicilia in prospettiva.  1709, Voce Triocala.

[16]   G. Ruscelli: Geografia. Libro III, Tavola VII d’Europa, pag. 47.

[17]   Nicolò Bevilacqua: Vocabolario volgare, et latino.  Venezia 1569.

[18]   V. Amico: Lessico Topografico.  Tomo 3°, Par. 2°. Verbo Randatium, pag. 206.

[19]  F. Gonzaga: De Origine Seraphicae Religionis.  Roma 1587.

[20]  S. Rizzeri: Randazzo e la sua storia. Il Convento dei Frati Minori Osservanti - R. N. n. 30. Agosto 1989.

[21]  G. Plumari: Storia di Randazzo.  Appendici, Vol. II  pag. 645.  Man. presso Biblioteca Comunale di Palermo. 

[22]  Filadelfo Mugnos: Vespro Siciliano.  Ediz. 1669, pag. 13.

[23]  Michele Amari: Guerra del Vespro Siciliano. 1851, Le Monnier.