Farmacista Ciccio Finocchiaro

Farmacista Ciccio Finocchiaro

C’ERA UNA VOLTA A RANDAZZO . . . . . LA FARMACIA DI FRANCESCO FINOCCHIARO

Un ritrovo di buontemponi d’inizio 900

di

Maristella Dilettoso

 

 

Archivio storico-fotografico S.re Rizzeri [1]
( 30 Agosto 1893 )

C’era una volta la farmacia ….. Non la farmacia dalle vetrinette scintillanti, da cui occhieggiano alimenti per l’infanzia, dietetici, giocattoli, cosmetici, in un trionfo di “balocchi e profumi”, la farmacia col banco dal design moderno, dietro al quale, in asettici camici bianchi, farmacisti freddi e professionali calcolano ticket e pinzano ricette, per una clientela senpre più frettolosa ….. non questa ma la farmacia d’una volta, con i mobili massicci di noce, su cui stavano allineati, in bella mostra, bocce, mortai, albarelli, vasi ed alambicchi, colmi di misteriosi elisir e toccasana, e lo “speziale” con movimenti lenti ma sicuri pesava su un bilancino erbe ed elementi, li pestava in un mortaio preparando quei rimedi e antidoti che poi versava, con una promessa, nel “coppettino” di carta o nel bicchiere che lo speranzoso cliente aveva portato da casa …. La farmacia di inizio 900, dico come appare nelle pagine di Verga, di Brancati, è pure di Sciascia, una sorta di succursale del Circolo cittadino, dove confluivano tutte le notizie e le chiacchiere del paese, dove si davano convegno alla sera i notabili, per scambiarsi battute salaci e storie di adulteri, o per pontificare sulla politica ed architettare tiri mancini allo sprovveduto di turno …

Anche a Randazzo c’era una volta “la Farmacia”, viva ormai solo nel ricordo e nei racconti dei più anziani, che si affacciava sulla Via Umberto I, nei pressi di San Martino: la gestiva il Dottor Francesco Finocchiaro, classe 1864, “chimico e farmacista”, dai baffoni scuri e dall’apparenza austera, dedito alla preparazione di sciroppo di gelso per la tosse, e “specifici” (efficaci a quanto ci dicono) contro orzaioli e dissenterie, e tutti quei morbi che da sempre hanno afflitto l’umanità. Era affiancato dal fratello Gabriele, poco più giovane, reso claudicante dalla poliomelite, che coltivava un animo d’artista: infatti dipingeva, realizzava caricature e vignette umoristiche, intrecciava canestri e all’occasione praticava anche la tassidermia. Ma non finisce qui: i due fratelli, che erano degli spiriti arguti, avevano la penna sciolta e la rima facile, e poetavano pertanto su tutto e tutti.

Non esiste purtroppo un “corpus” che raccolga la produzione poetica sfornata dalla “Farmacia”, se ne è potuta avere memoria solo attraverso fonti orali di “discepoli” e frequentatori, o pagine ingiallite di vecchi giornali e trascrizioni. Era un poetare estemporaneo ma non illetterato, sia in lingua che in dialetto, metricamente e ritmicamente impeccabile, dal fraseggio sciolto, infarcito di doppi sensi, di finissime allusioni (tante ci sfuggono, sconoscendo i fatti contingenti), di eufemismi, di citazioni dotte e spesso, in quei componimenti destinati alla cerchia ristretta degli amici intimi, di qualche spressione più “colorita”. I farmacisti seguivano attentamente la vita politica locale e nazionale – una delle loro vittime preferite fu quel marchese Romeo, parlamentare del Regno, cui fra l’altro, è dedicato un caustico epigramma – le loro composizioni trovavano spazio su fogli satirici  dell’epoca, quali “U trabanti” di Bronte, “Lei è lario” di Catania, e altri firmate spesso con lo pseudonimo di “Turi Raspa”, cui facevano da contraltare, sulle medesime colonne, e firmate questa volta “Mangia Mentu”, le rime d’un altro spirito libero, quel Francesco Vagliasindi che, con nome d’arte di Mag Cètes, pubblicò di finissima satira le proprie opinioni svariati romanzi e novelle.

Premiata Farmacia Chimica Dott. Vincenzo Mannino

Di tutti i problemi del tempo si occupavano i farmacisti, esternando in versi di finissima satira le proprie opinioni: acqua, illuminazione, ferrovia, ospedale, igiene pubblica …. Le scorrerie di un Commissario prefettizio che non dovette lasciare un buon ricordo in quel di Randazzo, se in una lunga poesia, che gli è dedicata, si recita fra l’altro

                              “ .  . . . .Si li ricorda li belli ordinanzi

  chi facìa quannu stava a ‘stu paisi?

Quannu passiava ‘ntra li belli stanzi

 senza  pagari alloggiu ed autri spisi.

  Ora chi ci ni duna lu Prefettu,

            midulli fritti e arrustu di filettu? …..”,

 

per passare poi ad un impagabile flash sull’avvenuta “restaurazione”:

 

Ora tuttu cangiau: c’è vita nova,

n’ta lu nostru Palazzu Cumunali;

cu arriva là, quattru Assessuri trova.

Tri a dritta, unu a lu seggiu sinnacali,

chi siddu pi disgrazia s’alza ‘mpiedi

n’autru tira ‘nsautu e là si sedi.

L’ha vistu mai vossia ‘ncani bistinu

rudiri un ossu stinnicchiatu ‘nterra

e n’autru cani chi ci sta vicinu

sta prontu e si lu lassa si l’afferra?

Accussì là succedi … cu distrizza,

si unu alza l’anca, l’autu ci l’appizza…”.

 

La vecchia favola esopica del lupo e l’agnello viene rivisitata, trasferita in zona, e diventa nientemeno, una disputa per l’acqua di “Pietre Bianche”:[2]

 

“ …. Rivatu finalmenti a “Petri Bianchi”,

truvau ‘na sajia d’acqua chi scurria,

ddà pinsau rifriscarisi li cianchi,

e stutari l’arsura chi sintia …

Mentri l’acqua ci arriva a lu vudeddu

vidi chiù sutta biviri n’agneddu.

… Galantomu – ci dici – cù ti ‘nsigna

a lurdarici l’acqua a ‘nsupiriuri?

Viju chi troppu tosta l’hai la ‘mpigna,

viju chi tu non hai nullu timuri …

Guarda chi tu hai chi fari c’un marpiuni,

 non sai chi chista è l’acqua di Muntuni?...” [3]

 

Di un aneddoto la cui memoria si tramanda tuttora, “U Surci ‘nta l’organu” ( ovvero un topolino che, infilatosi tra le canne del grandioso organo della Chiesa di Santa Maria, creò uno scompiglio tale, da far supporre l’intrusione di chissà quale banda di malfattori ) esiste una personale rielaborazione nel componimento: “Lu stranu fattu di Santa Maria”:

 

“ … Ma tuttu a un trattu si senti fraschiari

‘nta l’organu  d’a chiesa ed un gran bottu

d’u lettu u sacristanu fa satari.

‘Chi sugnu ‘nsensi, o forsi sugnu cottu?

… Cussì dicennu nesci e ‘ntra Rannazzu

E latri! E latri! Grida comu un pazzu …”.

 

L’allarme generale coinvolge tutti, forze dell’ordine in prima fila e armi alla mano, è un succedersi di panico, di ordini concitati ad ogni nuovo fruscio, finchè:

 

“ … Scoppia intra la chiesa na risata

quannu scinneru c’u surceri a manu.

‘Guardati cca, chi bella ‘mpruvvisata’

dici ridennu Peppi ‘u sacristanu;

‘Chi sorti ‘i surci! Chissu e ‘na billizza

si po fari saimi e la sasizza!”.

 

Notoriamente il farmacista, in tempi di scarsa alfabetizzazione, come uomo di penna godeva anche di una certa considerazione e fiducia; sentite come viene reso un contratto di locazione, richiesto da un conoscente, e valido a tutti gli effetti:

 

“L’anno di grazia novecentoquindici

fatta in Randazzo il 29 giugno,

avanti i testi che si rendon vindici

e sottoscrivon con il proprio pugno.

Si convien quanto appresso sarà detto

e quanto infine poi sarà riletto.

Zingali Santo cede in locazione

a Ciccio Garagozzo fu Bastiano

una bottega per abitazione

la qual sarà pagata mano a mano,

come sul dirsi a terzo anticipato

e come meglio qui sarà spiegato,

ecc.ecc.”.

 

E sentite come affronta una lettera formale, “burocratica”, in risposta ad un altezzoso personaggio, naturalmente in versi:

  

“Illustre signor Preside, se non ho dato corso

a quanto Ella ordinavami con Sua del mese scorso,

è stato che a trascrivere tutte le prescrizioni

furon necessarie non poche vacazioni.

Intanto sul proposito la posso assicurare

che questo nuovo metodo assai non può durare …”

 

Evidentemente in farmacia si affrontava con senso dell’”humour” qualsiasi evenienza, anche l’episodio più banale serviva da spunto per poetarci sopra, e talvolta anche una triste novella poteva essere addolcita se comunicata in versi, come il decesso della cagnetta di un amico lontano:

 

“ La presente carissimo Totò,

lieta novella non ti apporterà;

si prepari il tuo cor, meglio che può,

     ad apprender la triste verità …” 

 

Così esordisce la lettera, per passare poi alla descrizione, piuttosto fantasiosa e colorita, del triste evento, e concludere alla fine, andando a scomodare lo stesso Foscolo nell’intento consolatorio:

“Sol chi non lascia eredità di affetti

pretendere non può d’esser compianto,

il suon non può gustar dei clarinetti,

non può gustar degli usignoli il canto!

Questo non si può dir della tua Jenna,

le cui lodi a cantar non basta penna!”.

 

Queste commistioni all’interno della strofa con i versi dei grandi poeti erano usuali ai fratelli Finocchiaro, ne ritroviamo una, presa dall’incipit della “Gerusalemme Liberata”, nella “Caccia ai ghiri”, dove con toni altamente epici si tratta della spedizione di un’allegra comitiva di amici, conclusasi fra mille disavventura:

 

“Qual dopo lunga e faticosa caccia

tornansi mesti ed anelanti i cani

che la fera perduta abbian di traccia,

così tornaron dal Flascio[4] all’indomani

Cesare, Beppe, Pietro e l’altro Pietro,

con una man davanti e una di dietro …”.

 

Innumerevoli gli scherzi orchestrati, in combutta con altri amici, veri tiri birboni, o le composizioni più salaci, destinate queste ai soli intimi, magari da rileggere insieme nelle serate d’inverno per riderci sopra. Un mondo gradevole e lontano, spazzato via bruscamente dai bombardamenti dell’Agosto 1943, gli stessi in cui trovò la morte Gabriele Finocchiaro, che si era rifugiato nella chiesa di San Martino, ritenendolo, con tanti altri, un luogo sicuro. Erano tempi dove tutto si svolgeva in maniera più semplice, non c’erano i ritrovati della scienza, non c’erano discoteche, televisione, navigatori in internet; ci si divertiva con molto poco, si prendeva la vita con maggiore senso dell’umorismo, due chiacchiere tra amici, qualche scherzo messo a punto  sul momento, ma indubbiamente i rapporti umani ne risultavano più veri, più intensi, più soddisfacenti. 

Randazzo,  05 Settembre 2015

[1]  La foto è stata riprodotta nel 1991 dal negativo in lastra di vetro appartenente alla famiglia Vagliasindi F.sco Miller.

[2]  Località dei Nebrodi in territorio di Randazzo , ove sgorga l’acqua che alimenta uno dei tre acquedotti di Randazzo

[3]  Altra località ricca di sorgenti d’acqua.

[4] Località nei pressi del Lago Gurrida di Randazzo, ricchissima per cacciagione.