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6 Giugno 2021 - Scoperta di un'Artista

6 Giugno 2021 - FESTA DEL CORPUS DOMINI

Scoperta di un’Artista

di 

Salvatore Rizzeri

 

Beato Carlo Acutis

In occasione della Festa del Corpus Domini, magnificamente organizzata dalla mia cara amica Patrizia Garasto che, collaborata dai Coordinatori, dagli Adoratori e da tutti i Sacerdoti di Randazzo, fin dalla sua istituzione, dedica tutta se stessa all’organizzazione e al buon funzionamento “dell’Adorazione Eucaristica” che a Randazzo ha sede nella chiesa dell’ex Monastero Benedettino di Clausura di Santa Caterina d’Alessandria. Proprio in occasione di questa particolare ricorrenza religiosa si è svolta una piccola ma significativa manifestazione.

Alla bella e curatissima chiesetta è stato donato un prezioso dipinto del volto del Beato CARLO ACUTIS. Dopo la benedizione e le belle parole pronunciate dall’Arciprete della città, Don Domenico Massimino, ho avuto il piacere di parlare con l’autrice dell’opera: la Signora ANNA MARIA RAMON.

Le cose strane della vita, io randazzese DOC non conoscevo affatto questa bravissima artista che, nata a Gualdo Cattaneo (Perugia) risiede però nella nostra città da ben undici anni. L’Artista mi raccontava che ha iniziato a dipingere quadri ad olio, da autodidatta, circa sette anni fa. L’ispirazione che porta alla luce questo suo peculiare dono ha origine da un avvenimento luttuoso che l’ha particolarmente colpita: la morte prematura di una nipote15enne a cui era particolarmente legata.

                                                  

                                                  Passione di Gesù

       

                                                      Papa Francesco

E’ questa la scintilla che, in un animo particolarmente sensibile al dolore e alla sofferenza umana, la porta ad esprimersi attraverso la pittura. Specializzatasi in ritrattistica, oggetto delle sue opere sono figure e volti di rara bellezza, ritratti di personaggi, ma anche magnifiche nature morte.

Artista poliedrica, è dotata di un innato talento dalle potenzialità straordinarie, dimostrando una eccezionale padronanza della tavolozza che estrinseca nella perfetta realizzazione delle sue opere caratterizzate non solo dalla bellezza, ma anche dall’esattezza dei dettagli.

                                                                                             

Natura Morta

Ha partecipato a diverse manifestazioni e più di recente ha anche organizzato una sua “personale” svoltasi all’interno della chiesa del Sacro Cuore di Gesù a Randazzo.

In conclusione di questa breve, ma doverosa presentazione, mi piace riportare un’affermazione non mia, ma di profondo significato, che si addice perfettamente alla sensibilità artistica di Anna Maria Ramon. “ Il lavoro del pittore – nel nostro caso della pittrice – non finisce col suo quadro: finisce negli occhi di chi lo guarda ”.

A lei, oltre ai complimenti, il nostro più vivo ringraziamento.

                              Dott. Salvatore Rizzeri

                                                                                                        

                       

 

 

 

Festa dell'Assunta - La Vara

La Voce dell’Jonio

Randazzo 1 / Intervista a Salvatore Rizzeri sulla festa dell’Assunta: “La vara è (forse) unica al mondo”

by Redazione • 12 Agosto 2017

Dott.ssa Annamaria Di Stefano

Salvatore Rizzeri è un ex Funzionario del Banco di Sicilia oggi Unicredit, da poco in pensione. Laureato in Economia e Commercio, master in Consulenza Finanziaria, presso l’Università Bocconi, è uno storico appassionatissimo, che conosce ogni particolare di ogni vicenda che abbia in qualche modo coinvolto il suo amatissimo paese, Randazzo. Lo abbiamo intervistato per avere notizie precise circa la nascita e la vita della Vara

 

Dott. Salvatore Rizzeri

– La Vara di Randazzo è stata la prima in Sicilia o ha tratto spunto da altre? Quella di Messina, ad esempio, era antecedente o precedente?

Ritengo che la Vara di Randazzo non possa vantare il privilegio di essere stata la prima a comparire in Sicilia. Il dotto e storico Salesiano don Salvatore Calogero Virzì a tal proposito afferma, pur senza supporto documentale,  che “ . . . . Le sue origini sono da ricondursi alla seconda metà del 1500 e si collegano certamente alla venuta a Randazzo dell’Imperatore Carlo V.  La delegazione randazzese, invitata ad accompagnare il sovrano a Messina, ebbe così modo di stupirsi e meravigliarsi ammirando lo sfarzo e la magnificenza del carro trionfale dell’Assunta che in quell’occasione venne montato e fatto sfilare dai messinesi, per essere ammirato dall’Imperatore, nonostante il ferragosto fosse già passato da oltre due mesi”. A suo dire, pertanto, anche se di solo qualche anno è successiva a quella di Messina.


15 Agosto " La Vara "

– Abbiamo fonti storiche che documentano quale sia stata l’ispirazione alla base della creazione della prima Vara?

La mancanza di documenti (molti sono stati nel corso dei secoli gli eventi calamitosi che hanno totalmente distrutto il patrimonio documentale dei vari archivi esistenti nella città) non ci consente di affermare con certezza quale sia stata l’ispirazione alla base della creazione di tale imponente carro trionfale. Gli storici municipali azzardano l’ipotesi che l’ispiratore ed esecutore del progetto possa essere stato il grande architetto del Senato messinese Andrea Calamech, in quegli anni a Randazzo per sovrintendere ai lavori di restauro delle chiese di Santa Maria e di San Nicola. Così come non è da scartare l’ipotesi secondo cui l’idea ispiratrice della realizzazione del carro trionfale possa essere stata data dall’opera pittorica di Giovanni Caniglia, datata 8 agosto 1548, che tuttora trovasi posta nella cappella absidale del Crocifisso nella chiesa di Santa Maria. Il dipinto assume infatti l’aspetto di un trittico verticale in cui risultano sovrapposte tre distinte scene: “La Dormitio” in basso, “l’Assumptio” al centro, “La Glorificatio” in alto.

– Chi ne volle l’importazione a Randazzo ?

Le nobili e potenti famiglie randazzesi gestivano da sempre il potere economico, politico e amministrativo della città. Essendo Randazzo da secoli per importanza la seconda città del Valdemone, dopo Messina, si volle, da parte di questi, dare ancora maggiore risalto e visibilità non solo alla città, ma anche al loro operato.


– Negli anni, la Vara di Randazzo ha subito delle modifiche sostanziali, dal punto di vista strutturale e/o dal punto di vista formale? E il percorso ha subito variazioni?


Nel corso dei secoli la Vara ha subito modifiche anche sostanziali sia dal punto di vista strutturale, così come da un punto di vista formale. Di ciò si ha certezza dai vari e diversi disegni rinvenuti nell’Archivio della Basilica di S. Maria e appartenenti a periodi storici diversi. Alcuni di questi sono stati riportati nell’interessante ed ormai introvabile volume del Salesiano don Salvatore Calogero Virzi – La Chiesa di S. Maria di Randazzo -, edito dal Comune negli anni ‘80.

– Con quale meccanismo veniva e viene trainata la Vara per le strade di Randazzo?


Il Carro trionfale della Vara, pesantissimo e di non agevole manovrabilità, è stato sempre trainato a forza di braccia, con due lunghissime e possenti funi, da un nugolo di ragazzi. Nei secoli passati, quando il corso Umberto non era ancora lastricato, la Vara si muoveva facendo scivolare il carro su robusti tronchi di legno che man mano venivano posti davanti al carro lungo la direzione intrapresa.

– Ci sono stati anni in cui la Vara di Randazzo non è uscita? Ad esempio durante la guerra?

Solamente dal 1973 la festa della Vara si celebra costantemente ogni anno. In passato la festa aveva una cadenza triennale, salve diverse e più lunghe interruzioni a motivo di eventi particolari (guerre, pestilenze, carestie). Il periodo più lungo di interruzione che personalmente ricordo è quello intercorso tra il 1967 e il 1973

– Attualmente la Vara di Randazzo è l’unica in Sicilia?

La Vara di Randazzo è certamente unica nel suo genere in Sicilia. Quella di Messina, seppur più pubblicizzata dai media, non ha niente a che vedere con l’originalità, bellezza e peculiarità di quella della nostra città, sia per dimensioni (18-20 metri in altezza), che per la presenza di 25 personaggi viventi, nonché per i particolari movimenti che la stessa è in grado di eseguire (rotazione nei due sensi delle ruote centrali, l’una a destra, l’altra a sinistra e inoltre per il movimento rotatorio di tutto l’asse del carro). Un complesso armonioso che suscita lo stupore del forestiero che la vede per la prima volta.


– Che lei sappia esiste qualcosa di simile in altre parti d’Italia o in altre nazioni del mondo?


Fercoli sacri di varie strutture e dimensioni sono presenti in varie parti del mondo e soprattutto in Italia. Una delle testimonianze medievali più note, il Carroccio della Lega Lombarda, è testimoniato a partire dal 1176, con sopra una croce ed un altare accompagnava in battaglia i soldati contro Federico Barbarossa. Posso comunque affermare senza possibilità di smentita che non esiste al mondo un carro trionfale simile alla “Vara di Randazzo”.

– Come è cambiato, se è cambiato, il modo in cui la cittadinanza randazzese vive questo evento?

Nel corso dei secoli, ma in particolare negli ultimi 20 anni, purtroppo, è cambiato un po’ l’atteggiamento della cittadinanza randazzese nei confronti di un tale straordinario evento. Si è ridotto quell’entusiasmo e quell’impaziente attesa che precedeva la festa. Ne vi è più la partecipazione di popolo che caratterizzava l’evento come nei decenni passati. La città si riempie si di decine di migliaia di visitatori entusiasti e sbalorditi alla vista di tale “meraviglia”, ma quelli che si vedono sempre meno sono, purtroppo, i giovani randazzesi che magari preferiscono trascorrere una giornata a mare.

– Quali sono i suoi primi personali ricordi della Vara di Randazzo?

Da ragazzo abitavo ad appena 150 metri dalla “Tribonia” – le Absidi di Santa Maria -, il luogo ove veniva e viene tutt’ora montata la Vara. Oggi con i moderni mezzi meccanici ci si impiega non più di due giorni per approntarla. Ai miei tempi invece (anni 60), si iniziava il lavoro almeno una settimana prima e tutti i ragazzini del quartiere assistevamo con entusiasmo in particolare all’alzata del “Tronco” e al suo fissaggio al centro del carro. Operazione non semplice, ed anche pericolosa, che richiedeva il lavoro di esperti operai per la durata di un intero giorno. I 25 personaggi prescelti venivano poi preparati molto tempo prima dal sig. Piero Santangelo, e nei giorni che precedevano l’uscita del carro giravano i quartieri e le piazze di Randazzo intonando e provando l’antica canzone-inno alla Vergine, in stretto ed antico dialetto randazzese.

La Fiera Franca

IL PRIVILEGIO DELLA FIERA FRANCA

E LA FESTA DI S. GIOVANNI BATTISTA

di

Salvatore Rizzeri

Se vogliamo penetrare il mistero storico di questa singolare manifestazione, dobbiamo avventurarci negli oscuri meandri della storia e sceverare con coraggio e fatica le vecchie pagine di archivio delle chiese, le uniche ove ancora è possibile reperire qualche rarissimo documento risparmiatoci dai due disastrosi eventi che ne hanno determinato la quasi totale distruzione. L’incendio appiccato nel 1539 dalla soldataglia ribelle a Carlo V al Grande Archivio Storico custodito nella Parrocchiale Chiesa di San Nicola, e le distruzioni apportate all’intera città di Randazzo dai bombardamenti aerei Anglo-Americani dell’estate del 1943, che la ridussero totalmente in macerie cancellando monumenti, opere d’arte, e con esse il patrimonio documentale di quasi dieci secoli di storia. Mancano quasi del tutto i documenti anteriori al Secolo XVI; pertanto, dovendo lavorare su ciò che ancora possediamo, non ci resta che avanzare deduzioni limitate, come sono limitati ed avari di notizie i pochi documenti che abbiamo. Da uno dei pochi documenti salvatesi riusciamo però a dedurre se non proprio l’anno di nascita-creazione della “Fiera di San Giovanni” il secolo in cui era già attiva.

Si tratta del Privilegio emanato a Messina da Re Giovanni il 3 – VIII – 1476,[1] e non firmato dal Vicerè di Sicilia perché compilato in tempo di sede vacante per la morte di Lupo Ximenes de Urrera avvenuta il 12 – IX – 1476.[2] E’ questo un tempo cruciale per la vita della città, perché, fin dal 1400 era sorta tra le tre chiese (Santa Maria, San Nicola e San Martino) e relative popolazioni la feroce competizione per la “maggiorità”. Questo Decreto di Re Giovanni, ottenuto dalla Chiesa di Santa Maria, a parere dello storico Padre Salesiano D. Salvatore Calogero Virzì, si deve collocare in questo momento storico di rivalsa di questa Chiesa sulle altre. E ciò, prosegue Don Virzì, per il fatto che una filiale della Chiesa di San Martino, la Chiesa di San Giovanni Battista, che era collocata alla confluenza tra il Fiume Alcantara e il torrente Annunziata, sull’importante Trazzera Regia, ai piedi della cinta muraria, godeva già da tempo immemorabile del privilegio della “Fiera Franca”. Il documento di tale concessione, infatti, si attiene ai medesimi privilegi di cui godeva la Fiera di San Giovanni Battista.

A mio giudizio tale importante privilegio venne concesso su esplicita richiesta della influente e nobile famiglia “Romeo”, che proprio in quella Chiesa aveva istituito la sede del potente Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani. Sul portale d’ingresso della Chiesa, in pietra arenaria, campeggiava infatti la grande Croce simbolo del Sovrano Militare Ordine dei Cavalieri di Malta. Tale Commenda era direttamente collegata con quella della città di Modica.

LA FIERA FRANCA

Facile dedurre la grande importanza che ebbero le fiere nel medioevo e l’efficacia economica che esse crearono per la città che ne ebbe il privilegio. In generale esse erano promulgate in occasione di feste religiose e, nella concezione del tempo, esse si dovevano svolgere intorno alle Chiese che ne ottenevano la facoltà dal Principe responsabile.

Col passare del tempo esse si ingrandirono enormemente, pertanto furono trasferite fuori delle mura in località pianeggianti (Timpa di San Giovanni), in modo che non si disturbasse la vita cittadina e si potesse usufruire di spazi più estesi dove radunare specialmente gli animali in numero rilevante che frequentavano la fiera ed erano anche oggetto di scambio e di compravendita.

Grande era il numero dei mercanti interessati che venivano da tutte le parti dell’isola, Randazzo si trovava su un nodo viario di grande importanza costituito dalle famose Trazzere Regie per cui ad essa i mercanti potevano accedere più o meno agevolmente anche da lontane località, come da Palermo, Messina e Catania, attirati dalle pregiate mercanzie che allora si producevano nel nostro territorio come cereali, vino, olio e soprattutto la seta che era il cespite più importante dell’economia cittadina (famoso in tutta Europa il Panno di Randazzo), e dai facili guadagni che prometteva una fiera franca che offriva ai partecipanti non solo l’esonero o la riduzione  delle gravose tasse della “Dohana” ma anche facilitazioni particolari nel compilare i contratti, nello scambio di moneta, nei diritti di scorta.

La sicurezza era assicurata da guardie speciali che sorvegliavano i commerci, i giocolieri, l’immensa folla che, per 9 giorni in Randazzo, popolava la città.

Mercanzie di ogni genere erano affastellate nei luoghi più impensati, bestie da soma pullulavano nei numerosi e spaziosissimi  “Fondaci” che allargavano la propria capienza in queste occasioni.[3]

La richiesta avanzata dal clero della Chiesa di Santa Maria nella concessione di una propria Fiera Franca aveva lo scopo di bilanciare l’importanza raggiunta da quella più antica di cui godeva la Chiesa di San Giovanni Battista dipendente dalla Chiesa di San Martino.

Del resto dei tre grandi quartieri che costituivano il centro storico della città, quello Lombardo di San Martino era per tradizione il quartiere industriale e commerciale della città, abitato prevalentemente da popolazione di origine lombarda giunta a Randazzo nell’XI secolo al seguito della Contessa Adelasia del Monferrato, terza moglie di Ruggero I di Sicilia.

Non conosciamo la data e i termini della concessione del Privilegio della Fiera Franca di San Giovanni, ma sappiamo per certo che i contenuti erano identici a quelli concessi con il Decreto di Re Giovanni del 3 Agosto 1476 alla Chiesa di Santa Maria.

Queste le concessioni assegnate:

1) Una Fiera Franca di panni, merci varie ed ogni mercanzia.

2) Fiera Franca per ogni genere di animali. Tali animali avrebbero dovuto prendere stanza sotto le mura  ad un “tratto di balestra” della Chiesa. 

3) Il tutto “Solutis” dalle gabelle “Regiae Curiae” e da ogni altra tassa.

4) Dava facoltà alla Chiesa  di costruire nel suo ambito “pennate” per i mercanti, le quali dovevano essere cedute a non più di Tarì 12, e le più piccole a non oltre Tarì 2. 

5)  Fa obbligo di fornire ai mercanti pesi e “canne”.

6) Si deve pagare il diritto stabilito  alla Cassa della Chiesa di San Giovanni.

7) Gli Uffici preposti alla Fiera devono godere dei loro diritti.

8) E tutto ciò “Quolibet anno omni futuro tempore” per 9 giorni, facendo obbligo ai Giurati di essere presenti a tutte le operazioni di apertura, chiusura e sorveglianza della Fiera. 

L’andamento della Fiera era affidato alle Autorità cittadine, ai Giurati in campo amministrativo, e al Capitano di Giustizia in campo disciplinare e penale. Nell’occasione la città diventava un cantiere e ognuno si provvedeva di tutto il necessario per sopperire a tanto movimento: i “fondaci”, le case private, le botteghe, gli ostelli improvvisati, i mercanti di foraggio; ognuno provvedeva al fine del proprio interesse economico. 

I Giurati facevano erigere una grande loggia al centro dello spazio destinato alla Fiera ( La Timpa di San Giovanni), dove prendeva posto il Magistrato assieme al Notaio per i contratti di compravendita da redigere. I Giurati erano assistiti dalle guardie che sorvegliavano tutto il movimento della Fiera e badavano al ritiro del “Serviglio del Regio Erario”. Compito particolare dei Magistrati era la scelta del pesatore e del pubblico sensale. Altra formalità importante era l’apposizione del bollo o suggello sulle mercanzie e per esso si pagava una tassa speciale, in genere Tarì 10. La Chiesa doveva impegnarsi nella costruzione delle “Pennate” o abitazioni in legno che servivano per i mercanti. 

La cerimonia di apertura della Fiera era affidata ai Giurati della città che giunti in pompa magna dalla sede del municipio davano inizio alle contrattazioni. Gli stessi definivano le trattative avviate dal pubblico sensale e controllate nel peso e nelle misure dal pubblico pesatore che aveva in custodia la bilancia e la “canna” e regolava la cerimonia della candela, allo spegnimento della quale era incaricato un altro pubblico ufficiale. L’operazione successiva riguardava la compilazione dell’atto di compravendita redatto dal Notaio che aveva sede nella “Loggia” dei Giurati. 

Le grosse partite di seta e la compravendita di animali solitamente erano trattate già qualche giorno prima dell’apertura ufficiale della Fiera, ma venivano formalizzate con i pubblici cambiavalute e con i Notai nei giorni di svolgimento di questa.

La Fiera Franca di San Giovanni, come abbiamo precedentemente affermato, fu la prima e la più antica tra le due Fiere che nel corso dei secoli si svolsero nella nostra città. Quella della Chiesa di Santa Maria, per tutta una serie di cause negative avvenute nel corso dei quattro secoli di vita, cessò di esistere alla fine del Sec. XVIII, mentre quella di San Giovanni perdurò fino alla fine degli anni 60 del secolo scorso. Chi scrive da ragazzo, (anni 1960 – 1968) prima della sua definitiva scomparsa, ebbe modo più volte di assistere allo svolgimento di tale importante manifestazione che richiamava da tutte le località di Sicilia soprattutto i commercianti di bestiame.

Chi la annovera tra le più importanti tra quelle che si svolgevano in Sicilia, è lo studio attento e minuzioso di Salvatore Cucinotta.[4]

Randazzo, 20 Aprile 2019

                                                                                                                                                                       

[1] A.C.S.M. Codice n. 4 Documenti sulla Fiera, p. 39 e segg. Vol. XLVI p. 77.

[2] Di Blasi: Storia dei Vicerè. Palermo 1842. Pag. 105 e segg.

[3] S. C. Virzì: La Chiesa di Santa Maria di Randazzo. Op. cit. pag. 96.  Randazzo 1984

[4] S.re Cucinotta: Popolo e Clero in Sicilia nella dialettica socio-religiosa fra Cinque-Seicento. Messina 1986.

La Settimana Santa a Randazzo

LA SETTIMANA SANTA A RANDAZZO

A CURA DI 

SALVATORE RIZZERI 

Gesù condotto al Calvario

La liturgia Cattolica non conosce una settimana più ricca di significato paragonabile a quella in cui si commemorano gli ultimi giorni vissuti sulla terra da Gesù Cristo. Ciò spiega come non solo liturgicamente, ma anche nell’animo popolare permeato di Cristianesimo, essa rappresenti il centro della vita Cristiana e perciò il momento più ricco di manifestazioni folcloristiche che acquistano un colore del tutto singolare, specialmente in alcuni paesi dell’interno dell’isola. Non vi è infatti Cristiano nel quale la Settimana Santa non risvegli nel cuore la necessità di esprimere, con le sue manifestazioni, la gioia e il dolore che caratterizzano questi giorni. Manifestazioni che hanno inizio con le Processioni, prettamente folcloristiche, di ciascun giorno della settimana in cui si sono divisi il turno le varie “ Confraternite “. Ai fini di una migliore fruizione dello studio abbiamo pensato di riservare un capitolo a parte per ciò che attiene l’abbigliamento la descrizione completa dei personaggi e figuranti della Settimana Santa. 

LUNEDI’ SANTO:

E’ il giorno della  Confraternita dell’Addolorata che ha la sua sede nella chiesetta di S. Pietro. Un tempo tale processione era preceduta da altri due avvenimenti ormai caduti in disuso:

  1. a) Al mattino l’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Martino si recava processionalmente nella chiesa di S. Maria per partecipare alla solenne adorazione del SS. Sacramento e ascoltare la Messa.

  2. b) Nel pomeriggio toccava all’Arciconfraternita delle Anime del Purgatorio di S. Nicola recarsi nella chiesa di S. Maria.

La sera di tale giorno ha luogo la processione detta della “ fratellanza “ cui partecipano gli affiliati alla Confraternita dell’Addolorata, le Amministrazioni delle altre Confraternite, ma non delle Arciconfraternite, le autorità civili, militari, la banda musicale e i fedeli tutti, inizia intorno alle 19,00. I confrati vestono la tradizionale tunica bianca con mantella fucsia, dello sesso colore del palio, alle due estremità la mantella reca lo stemma della Confraternita, mentre il capo è coperto da un cappuccio bianco che scende fin sulle spalle. La processione si snoda su due file laterali ed i confrati portano in mano un cero acceso, in testa alla Confraternita vi è il palio ed in mezzo ai confrati, a centro strada, sfilano i figuranti:

1)      Cristo alla colonna – Cristo coronato di spine – Cristo che porta la Croce,

2)      Angeli. Impersonati da fanciulli e fanciulle che non superano i tre anni di età,

3)      La “ Veronica “.Vestita di nero mostra il volto di Cristo impresso sulla tovaglia di lino,

4)      S. Giovanni Battista,

5)      Tre Marie ( Marta – Maria – Maddalena ),

6)      Le Pie donne. Gruppo di fanciulle in vestiti d’epoca con il capo avvolto da un velo nero,

7)      Paggi. Recano su un cuscino di velluto rispettivamente un pugnale, i chiodi e la corona di spine

8)      Gli Apostoli. In tunica lunga di colore scuro e mantello di colore contrastante,

Il Crocifisso, coperto da un velo nero, viene portato da un esponente della Confraternita e scortato dai Nicodemi: sono giovani o fanciulli con splendidi vestiti di seta e portanti, come insegna della Passione, una scaletta al braccio. I loro turbanti sono arricchiti da preziosi e vistosi monili. Un tempo la Croce, che chiude la processione, procedeva sotto un baldacchino ed era portata da un Sacerdote che aveva in testa una corona di spine ed al collo una corda che gli scendeva davanti e lo aiutava a portarla; era inoltre attorniata da quattro incappucciati, I babaluti , che portavano le insegne della Passione. La processione, che segue un percorso identico da secoli, giunta alla chiesa di S. Maria si ferma per ascoltare la predica e quindi si avvia per il ritorno alla chiesa di origine

MARTEDI’ SANTO:

La medesima processione, con le stesse modalità, per la stessa via, con le medesime insegne è curata dalla Confraternita dell’Annunziata. Poiché la chiesa dell’Annunziata si trova ad un centinaio di metri dalla Basilica di S. Maria, la processione vi entra quasi subito per ascoltarvi il Quaresimale e solo dopo, intorno alle 20,00, prosegue per il tragitto tradizionale.

Alla processione, oltre alle Amministrazioni delle altre Confraternite, dall’anno 2000 partecipa anche la nuova Confraternita del Sacro Cuore, che sfila a capo scoperto. Unica particolarità è che al ritorno dalla chiesa di S. Maria, dopo la predica, tutti i confrati si coprono il capo con un velo bianco. Uso non facilmente spiegabile ed il cui significato si perde nel buio dei secoli. Da qualche anno, inoltre, la Confraternita porta in processione la Croce con il Cristo coperto da un velo anzicchè il più tradizionale “ Gonfalone “ della Settimana Santa di cui è custode. Il Gonfalone è una Croce senza il Cristo ma con i segni della Passione. Sul legno verticale a partire dall’alto vi sono: il gallo, i dati, il calice, l’acetiera, la colonna. Sul legno trasversale, a sinistra guardando la Croce troviamo: la tenaglia, la lancia, la spugna; a destra: la scala, i chiodi e il martello. Nel punto centrale dei due legni vi è la corona di spine, mentre alle estremità sono poste le tre lucerne che ci richiamano al mistero della Trinità.

La Confraternita dell’Annunziata è custode anche di un’altra insegna della Settimana Santa, che non viene più portata in processione a causa della sua pesantezza. L’insegna riporta su un frontale l’immagine della Madonna Annunziata con l’Arcangelo Gabriele e sull’altro quella del Crocifisso. Alle tre estremità vi sono le tre lucerne, simbolo della trinità.

Identico da secoli rimane l’itinerario che le processioni sono obbligate a fare. Tutte devono percorrere la medesima strada e solo la tradizione ci può spiegare il perché si debba passare attraverso strade veramente impraticabili come Via Garibaldi. La cosa si spiega osservando che in tali strade vi erano i Monasteri di Monache Benedettine che, come si sa, sono di clausura, e l’uso voleva che passasse dalle vie in cui si trovavano tali Monasteri affinché esse, dalle grate dei loro Conventi, potessero assistere a queste manifestazioni prettamente religiose. 

MERCOLEDI’ SANTO: 

E’ un giorno piuttosto vuoto e libero da impegni particolari di Processioni, e con ragione: al mattino viene effettuata l’esposizione del Santissimo nella Basilica di Santa Maria. Il pomeriggio è del tutto libero affinché i fedeli abbiano il tempo di accostarsi al Sacramento della Penitenza in preparazione del Precetto pasquale, che si suol fare il Giovedì Santo.

Nei tempi passati era invece un giorno particolare, esplicitamente indicato negli Statuti delle Confraternite: era il giorno delle confessioni e del Precetto pasquale dei confrati, i contadini erano persino dispensati dal recarsi al lavoro e tutti nelle varie chiese si accostavano al Sacramento dell’Eucarestia. 

GIOVEDI’ SANTO: 

E’ il giorno in cui si ricorda l’istituzione della SS. Eucaristia che viene esposta solennemente all’adorazione dei fedeli; giorno dedicato alla visita dei sepolcri  “ I Sebulcri “. Circa quaranta giorni prima del Giovedì Santo fedeli volenterosi provvedevano a deporre del grano in alcuni piatti con un fondo di acqua, deponendoli successivamente in un luogo buio ed aggiungendo di tanto in tanto altra acqua. Dopo tale periodo il frumento dà vita a pallidi e compatti germogli della lunghezza di 20/30 centimetri, tolti dal buio venivano portati in chiesa ad adornare “ u sebulcru “. Volendo dare un significato all’uso dei cereali che fanno da ornamento intorno a Gesù non è difficile: come il grano germoglia al buio e cresce, così Gesù risorge dalle tenebre della morte. Tale usanza era anche espressione di un rito propiziatorio legato alla civiltà contadina: mettere i germogli di grano accanto  al “ sebulcru “ era un modo per propiziare un abbondante raccolto. Oggi il clero sottolinea con forza che non si tratta di adorazione del Cristo morto ma di adorazione dell’Eucaristia. La mattina era occupata dalla celebrazione di una messa solenne nella chiesa di Santa Maria, a cui prendevano parte tutte le autorità della città e tutte le Confraternite. Il pomeriggio era caratterizzata dalla processione del “ Cristu ‘ndo catalettu “,  prerogativa  dell’Arciconfraternita delle Anime del Purgatorio di S. Nicola che, per secoli e fino al 1965, si è svolta in tale giorno. La processione visitava i “ sebulcri “ di sette chiese per consentire ai fedeli di acquistare l’indulgenza plenaria. Tale manifestazione  aveva però in sé una grave anomalia: il giovedì Santo è il trionfo dell’Eucaristia non il trionfo del Cristo morto, per ovviare a ciò infatti era nell’uso non far comparire nella bara nulla degli elementi tradizionali del lutto, il Cristo era coperto di veli bianchi e adorno di fiori bianchi; nessun elemento quindi ci richiama al senso di morte: lini e merletti coprono il corpo del Salvatore e le sue piaghe sono coperte di gioielli di grande valore. La precessione partiva, cosa singolare, non dalla chiesa ma dalla casa del Governatore della Confraternita dove era stata portata privatamente e dove veniva ornata con cura più che religiosa. Una gran folla di popolo accompagnava la processione per la visita dei sepolcri delle tre parrocchie e delle chiese che sono sul cammino tradizionale.

Le incomprensioni tra l’Arciconfraternita e le autorità religiose del paese si conclusero nel 1966 con la soppressione della processione dal calendario delle manifestazioni tradizionali della Settimana Santa. La tradizionale e bella processione è fortunatamente stata ripresa nel 1985, ma spostata nella giornata di sabato mattina.

VENERDI’ SANTO 

E’ il giorno più importante della Settimana Santa, giorno in cui si svolgono due processioni. Quella del mattino è organizzata dall’Arciconfraternita del SS. Crocifisso di S. Martino, che da alcuni decenni effettua un percorso leggermente diverso da quello tradizionale. Un tempo, infatti, tale processione visitava i “ Sepolcri “ di sette chiese, così come faceva la processione del “ Cristo ‘ndo cataletto “ di cui si è precedentemente detto. Dal 1966 invece le soste che essa effettua sono quattordici, tante quante le stazioni della Via Crucis. Il Cristo in croce, coperto da un velo nero, viene portato da uno dei confrati che, oltre al tradizionale sacco bianco, indossa i simboli della Passione, come la corona di spine e la corda al collo. Un baldacchino violaceo, portato da quattro fedeli, copre il Cristo che viene preceduto dai figuranti. Le Amministrazioni delle  Confraternite che non partecipano alla processione si fanno però trovare dinanzi all’ingresso delle loro chiese con il palio in segno di omaggio; passata la processione se ne ritirano.

 

Processione del Venerdì Santo

La sera si svolge quella che si considera la più importante processione della Settimana Santa: la serata è organizzata dalla Confraternita dell’Addolorata  di S. Pietro, perché proprio in questa chiesa sono custoditi il  grande Crocifisso ligneo del seicento e la statua della Madonna Addolorata. E’ una Bellissima e commovente processione cui partecipano tutte le Confraternite della città, le due società cattoliche: quella di S. Giovanni Battista e quella del Crocifisso, nonché un numero enorme di figuranti, mentre sono sempre più rari i devoti che seguono a piedi scalzi le due “ Vare “. Il Crocifisso, illuminato  a “ lumeri “, cioè con candele rinchiusi dentro globi di vetro, sullo sfondo di una grande raggiera dorata, parte accompagnato dalla “ vara “ dell’Addolorata dalla chiesa di S. Pietro, scende giù per la ripida discesa di San Bartolo, percorre il corso principale, in mezzo ad una fiumana di popolo silenzioso. Questo silenzio è interrotto solamente dalle meste musiche della banda musicale, dallo sparo di mortaretti e dai continui osanna dei portatori delle pesanti “ vare “. Vestiti, per fede o per voto, con una tunica bianca, i portatori del Crocifisso incitano alla preghiera al tradizionale grido di “ Sa laratu lu Santissimu Crucifissu ! ….. Laratu sempre sia “ . Gli fanno eco i portatori della vara dell’Addolorata: “ E chiamammura chi n’iuta sempri! “ e gli altri rispondono “  Evviva a Maronna Addulurata “. Il solista riprende subito a dire: “ A dispiettu ri l’infernu! “, e gli altri “ Viva Maria sempri in eternu “ . E così in continuazione, per tutta la durata della processione, fino a rimanere senza voce.

La processione, procedendo lentamente, intorno alle 23 giunge in Piazza S. Giorgio, una volta animata dalla presenza del più importante e ricco Monastero di suore Benedettine. Qui c’è l’atteso incontro tra la madre Addolorata ed il figlio Crocifisso che, tra la commozione dei fedeli , per un attimo, incrociano lo sguardo. In tale piazza si fa una lunga sosta per dare un po’ di riposo e far prendere respiro ai portatori.

Un altro momento suggestivo e significativo della serata si verifica al ritorno della processione, quando si affronta “ a chianata ri San Barturu “ dove, fino al 1866, vi era un altro Monastero di Benedettine di clausura, appunto quello di San Bartolomeo. Qui la processione è costretta a fare una ripida e lunga salita che mette a dura prova le forze residue dei portatori delle due vare, specie di quella del grande “ Crocifisso “. Per impedire eventuali incidenti e per aiutare a mantenere il baricentro del Crocifisso, due robuste e lunghe funi, tirate da volontari e collegate al centro della Croce, aiutano i portatori nella salita. Giunti nella piazza del colle di S. Pietro i portatori dell’Addolorata e del Crocifisso, prima della benedizione finale, con un’ultimo immane sforzo, sollevano sulle loro braccia le due vare rivolte verso la città, affinchè  la Madonna e il suo Figlio benedicano Randazzo e i suoi abitanti. 

 

SABATO SANTO 

L’entrata in vigore della Riforma Liturgica sui riti della Settimana Santa, dopo il Concilio, aveva determinato la soppressione della processione del “ Cristu ‘ndo catalettu “. Infatti l’allora Vescovo di Acireale Mons. P. Bacile con Decreto in data 18 marzo 1966 vietava, al Clero ed alle Confraternite di Randazzo, lo svolgimento di qualsiasi processione nella giornata del Giovedì Santo. Scompariva così, dopo oltre tre secoli, la tradizionale processione curata dall’Arciconfraternita delle Anime del Purgatorio di S. Nicola. Veniva consentita solamente l’esposizione del Cristo all’interno della chiesa dalla sera del Venerdì alle ore 12 del Sabato Santo. Fortunatamente dal 1985 la Curia Vescovile ha di nuovo autorizzato lo svolgimento della  bellissima processione, spostandola però al Sabato mattina.

L’Arciconfraternita è gelosa custode del bellissimo Cristo in cartapesta snodabile e di un preziosissimo tappeto di seta damascata, intarsiato di rose ricamate a mano con fili d'o’oro e d’argento, che qualcuna data addirittura al 1300. Su questo tappeto viene adagiato il Cristo e posto poi “ ‘ndo catalettu “, leggera portantina ricoperta da una bombata rete di rose di seta. La processione parte dalla chiesa di S. Nicola , ma fino al 1931 aveva inizio dalla casa del Governatore dell’Arciconfraternita, la modifica dello statuto ( art. 8 ), avvenuta in quell’anno, proibì tale usanza . La processione percorre quasi lo stesso tragitto di quella del Venerdì Santo mattina.

Il pomeriggio un tempo veniva  interamente occupato  per la preparazione dei dolci, che sempre più raramente oggi avviene in casa. Solamente i fornai continuano la tradizione con la preparazione, a richiesta, della “ cullura “. Un dolce tipico randazzese a base di farina, uova e zucchero, per lo più a forma ovale con un buco nella parte alta e uno o più uova sode con buccia inseriti nella parte bassa, abbellita da una manciata di “ iavuritti “ ( finissime scaglie di cioccolata e caramello multicolori ). Come non vedere in queste sacre manifestazioni della più pura fede del popolo, l’espressione e l’impronta di vecchie feste medievali. Fede e folclore che si ricollegano ai tempi lontani, quando il mistero della Passione occupava il primo posto nella vita religiosa dei siciliani; del resto, come afferma Don Virzì, le feste del nostro popolo sono state sempre improntate ad un alto lirismo che purtroppo, in gran parte, la civiltà moderna ha fatto tramontare definitivamente.

 

Randazzo - Agosto 2002