Onofrio Gabrieli

Onofrio Gabrieli

ONOFRIO GABRIELI 

di

Salvatore Rizzeri

 

Madonna del Rosario

Di questo illustre figlio della nostra terra riportiamo la descrizione biografica contenuta nel volume “Memorie dé pittori messinesi e degli esteri che in Messina fiorirono dal sec. XII sino al sec. XIX” edito a Messina nell’anno 1821 da Giuseppe Pappalardo.

“ Nacque Onofrio nel villaggio del Gisso, otto miglia distante da Messina nel 1616 da padre medico di professione; mandato in Messina ad apprendervi le lettere, riempiva i suoi libri di fantocci fatti a penna, spendendo le ore di riposo in disegnare, e dipingere.

Accortosi suo zio, in casa del quale abitava, di questa sua inclinazione, e volendo secondare il genio che si andava sviluppando nel giovane, lo affidò alla cura del Barbalonga (Antonio Aliberti), da cui fu istradato nel disegno per il corso di sei anni, facendovi rapidi progressi.

Mal soffriva però il padre, che il figlio la pittura esercitasse, e non ostante l' inclinazione di questo, ed il genio stesso dello zio volea a viva forza fargliela abbandonare, ed applicarlo allo studio delle leggi. '

Troppo profonde radici avea intanto fatto la passione nell' animo del nostro allievo, per cui altamente disgustato fuggì dalla casa paterna e si portò in Roma nella Scuola del Pussino.

Non potè lungamente proseguire, presso questo nuovo maestro, a causa della sua partenza per Francia, onde passò in quella del Cortona, che era allora il pittore più accreditato. Da colà dopo qualche tempo pensò allontanarsi, e preso il cammino di Venezia, ivi si trattenne in unione del suo concittadino Marolì a studiare le opere di Tiziano, e di Paolo Veronese.

Reduce dopo molti anni alla patria pieno di lumi, e di cognizioni, cercò distinguersi fra tutti i pittori che allora fiorivano, per uno stile tutto suo proprio ed originale, sebbene cada talvolta nel manierato. Ornava le sue figure di nastri, merletti, e giojelli, che lavorava con una finezza inarrivabile. In breve: se non ebbe questo pittore la correzione del disegno di Polidoro, ed il colorito di Barroccio, e di Paolo, ebbe la singolarità  dell’armonìa, unione, e sfumatezza de' colori, ed in questa ultima parte superò lo stesso Catalana.

Invaghito follemente per l'alchimia, dissipò il suo patrimonio, per cui fu costretto lavorare per ritrar denaro, e perciò in fretta, usando poco colore, e talora servendosi dell' imprimitura della sua tela per mezze tinte[1], quindi molte sue opere sono perite per la poca lor consistenza.

Nè restrinse le sue cognizioni alla sola pittura: coltivò colla stessa facilità la musica, per cui acquistossi nome di buon cantante: l’ architettura militare di cui ne diede vari saggi, e la poesia nella quale ebbe vena assai facile.

Fu di aspetto avvenente, ma di natura irritabile, e facile ad attaccar brighe, per cui ebbe sovente degli incontri dispiacevoli, ed avendo una volta ferito una persona di riguardo , dovette cercare un asilo nella chiesa de' Paolini, ove non cessò di lavorare, riempendola di molte sue pregiate pitture.

Erano del suo pennello i quadroni ad olio nella navata di mezzo di detto tempio, che andarono a perire, ci restano ancora in quattro altari quattro tele assai stimate . La prima e la più bella è la Vergine del Soccorso dipinta con sommo accorgimento, quale non riuscirà disdicevole descriver brevemente .

La Vergine è in atto di respingere il demonio e soccorrere tre anime che in sembianza di bellissimi putti sono a lei d’intorno . Il più lontano mostra nel suo volto un estremo terrore, meno però il secondo, e finalmente l’ultimo, che tutto ravviluppato nel manto della Vergine scuopre il volto per osservare, ha un tanto brio, ed una tale amabilità, che innamora a vederlo, a piè del quadro si legge

ONOFRIO GABRIELLO 

P. 1664.

Questo soggetto, sebbene alquanto diverso nella composizione, fu da lui ripetuto nella chiesa de' Cappuccini del Gisso.

L' altra tela rappresenta la Vergine, con S. Giuseppe in atto di lavorare, ed il Bambino. La terza è un vaghissimo S. Michele Arcangelo assai ben disegnato e dipinto, e la quarta finalmente è il S. Francesco di Paola situato in un altare a man sinistra .

Ma il suo capo d' opera è lo Sposalizio di S. Caterina in S. Paolo delle monache, ove dipinse una turba di vaghi angeletti, che portano canestri pieni di bende, nastri, perle, ed altri giojelli, opera incomparabile pella dolcezza colla quale è dipinta .

Per sua disavventura prese parte nelle disgrazie del 1674, in qual tempo fece uso delle sue cognizioni nell' architettura militare, costruendo un nuovo baluardo al forte di porta Real bassa, che tuttora sussiste. Ritornato l’antico governo dovette come gli altri andar esule dalla patria, e ricovrarsi in Francia.

Peregrino perpetuo girò e la Francia, e l’Italia ove fu sempre ben accolto, vivendo comodamente col frutto delle sue fatiche. Padova fu la sola città, che più lungamente lo trattenne ove molte eccellenti opere condusse sì pubbliche che private, rammentate dalla Guida di Padova: il ch. Abbate Lanzi rapporta di aver veduti alcuni suoi quadri in casa del nobile ed erudito Conte Antonio Maria Borromeo, fra quali uno della famiglia col ritratto dell'autore.

Ultimamente sedate le turbolenze della patria, quivi fu di ritorno, lasciando le ceneri, ove avea ricevuto i natali , nell’età decrepita di novant' anni.

Avea egli fatto il sublime progetto di deviare il torrente di porta Boccetta, facendolo passare pella chiesa di S. Giovanni decollato, e poi scendere sotto il baluardo dell' Andria, venendo così a metter foce fuori le mura della città. Impresa, che quantunque grande non lasciò di principiare, e che avrebbe condotto a compimento, se non era prevenuto dalla morte,[2] “.

Natività

Ben altra cosa dicevano, a proposito dei suoi natalinon solo gli storici randazzesi ma soprattutto la documentazione, (certificato di battesimo e quant’altro), che fino all’inizio dell’estate del 1943 lo attestava. Documenti conservati nell’archivio della chiesa di San Martino, che anche il dotto Salesiano Don Salvatore C. Virzì ebbe a suo tempo modo di visionare testimoniandone l’importante contenuto. Tali manoscritti, purtroppo, andarono completamente bruciati unitamente a tutto il materiale d’archivio a causa dei terribili bombardamenti anglo-americani, (84 incursioni aeree in 30 giorni), subiti dalla città di Randazzo in quella triste estate.

Randazzese autentico cittadino quindi e non di Gesso, come fin qui affermato, la cui famiglia era forse originaria della città di  Messina. (Tantissime furono infatti quelle stabilitesi a Randazzo dopo il tragico assedio nel 1300 della città dello stretto da parte dell’esercito di Roberto d’Angiò,  trasferite a Randazzo per salvarle dalla fame e dalle malattie, dal generoso Federico III D’Aragona – l’Onor di Cicilia -. Qui rimasero e prosperano per secoli, tanto che a Randazzo perdurano tutt’ora molti cognomi di chiara origine messinese: Russo – Peralta – Scala – Moncada - Orioles – Romeo - Pujades – Colonna - Di Paola ecc. ).

Un’ ulteriore prova di questa mia affermazione la troviamo nel fatto raccontato, solo parzialmente, dall’autore del libro che ne riporta la biografia, e relativo alla fuga da Messina del Gabrieli poichè coinvolto nei moti rivoluzionari del 1674 - 1676. Nulla infatti il testo dice a proposito dei diversi luoghi italiani ove egli, esule per tanti anni, alloggiò; unica citazione la città di Padova. Ebbene il Gabrieliproprio in quel periodo, si rifugiò anche a Randazzo, ospite del fratello Roberto (nato a Randazzo), e sposato con la nobile randazzese Agata Citarotto (27. X .1657). Egli rimase per lungo tempo nel paese natio, ove poté sfuggire ad ogni persecuzione mediante la protezione delle più nobili e potenti famiglie della città con le quali era imparentata la sua famiglia

In questo periodo fu prodigiosa la sua attività giacché ancora possiamo enumerare ben nove tele esistenti nelle varie chiese della città, attribuite al suo pennello, e abbiamo notizia di parecchie altre andate perdute nel corso dei secoli in particolare nell’ultimo disastro bellico dell’estate del 1943.

La soavità delle immagini, la leggiadria degli accessori che rasenta la bizzarria e la chiarità diffusa del colore in cui domina il celestino e il verde-ocra, sono le caratteristiche di questo grande pittore che derivò gran parte della sua arte dell’ultima maniera dall’estroso maestro Mattia Preti della vicina Calabria.

Martirio di San Lorenzo

Al suo pennello appartengono: Il Martirio di S. Agata e il Martirio di S. Lorenzo della chiesa di Santa Maria; per il loro sfondo tetro e per la tecnica illuministica che chiarifica i personaggi con un alto senso plastico, sono certamente opere della corrente caravaggesca. Il Cristo Crocifero nella chiesa di San Nicola; l’Angelo Custode in San Martino; la Madonna del Rosario e una leggiadrissima Natività nella chiesa dell’Annunziata il cui l’annerimento della tela ha annullato tutte le mezze tinte e le ombre lasciando in un risalto grigio tutte le parti in luce; S. Antonio da Padova nella chiesa di Cristo Re, a questa donato dalla famiglia Fisauli cui apparteneva. La tecnica entrerebbe nella scia del Preti a cui fu caro il forte chiaroscuro che stacca le figure dalla massa, come è possibile ammirare in questa opera. La Resurrezione di Lazzaro, recuperato dalle macerie di San Martino ma talmente deturpato da non poter essere opportunamente restaurato.

 

[1]  Giuseppe PappalardoMemorie dé pittori messinesi e degli esteri . . .  –  Messina 1821,  pag. 55.

[2]  Pubblicò sull' assunto un dotto opuscolo titolato : Breve discorso sopra il vero modo di ovviare al danno notabilissimo, che riceve il meraviglioso porto della nobiissima ed esemplare città di Messina dal Torrente della Bozzetta, dedicata all’illustrissimo Senato di Messina. Li 10 luglio 1668.