L'Onor di Cicilia
L'Onor di Cicilia
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- Categoria: La Storia
- Pubblicato: Mercoledì, 09 Ottobre 2019 15:50
- Scritto da Salvatore Rizzeri
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L’Onor di Cicilia
Federico III d'Aragona
di Salvatore Rizzeri
Figlio di Pietro III d'Aragona e di Costanza, figlia di Manfredi, fu proclamato re di Sicilia nel 1296, in seguito ad una insurrezione popolare contro gli Angioini, cui il fratello Giacomo II aveva ceduto il trono. Morì nel 1337.
Nel 1300 il Duca Roberto d’Angiò, giunto in Sicilia con una potente flotta, passa al contrattacco con decisione e violenza, cingendo d’assedio Messina. Resiste ad oltranza la città dello Stretto, fiera dei suoi privilegi e della sua lealtà. Ma l’assedio si protrae per mesi e Federico qui scrive la pagina più gloriosa della sua vita. Fa di Randazzo, dove da tempo si trovava, il suo quartier generale; qui raccoglie vettovaglie inviandole alla stremata città assediata per mare e per terra e, perché potessero giungere più copiosi, il Re si reca personalmente a Catania per richiedere ed ottenere maggior quantità di grano e così, per la stessa via delle montagne, farlo giungere ai messinesi afflitti per la carestia.
Continuando però l’assedio della città, il Re pensò bene di andarvi personalmente. Da Randazzo per foreste e per balzi, a cavallo e a piedi, precedendo le sue truppe, riesce ad entrare in città, solleva le sorti della battaglia e poi accompagna gli infermi, i feriti, i vecchi, tutti gli invalidi che pesano, come corpi inerti, sui ridottissimi rifornimenti, per la stessa via, a trovare rifugio e ristoro nella Fedelissima Randazzo.
Pagina bella ed intrepida della vita di Federico che ebbe ripercussione per tutta l’Italia e in Europa, che strappò a Dante nella “Divina Commedia” quell’”Onor di Cicilia” che è il più bel riconoscimento delle virtù del Re.
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.
Quand'io mi fui umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»;
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
Poi sorridendo disse: « ...Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond'io ti priego che, quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'Onor di Cicilia e d'Aragona,
e dichi ‘l vero a lei, s'altro si dice.... » [1]
Quando racconto la storia di Randazzo a studenti, amici e visitatori, dico sempre che per questo straordinario avvenimento, che ebbe per protagonisti Randazzo, Messina e il buon re Federico, anche se non citata, la mia città indirettamente trova posto nella grandiosa opera del sommo poeta. Si tenga altresì presente che Manfredi nel 1258, si fa incoronare per la prima Volta Re di Sicilia proprio a Randazzo, e solo successivamente nella Cattedrale di Palermo.
“Naturalmente essendo stata Randazzo scelta come luogo capace di dare asilo e conforto a parte della popolazione di Messina, si mostra evidente, senza dubbio, non solo la ricchezza e sicurezza del territorio indicato come rifugio a quei sofferenti, ma si mostra da questo fatto in tutta la sua pienezza, affettuoso l’animo dei cittadini, pronto ad accogliere ed onorare chi, per effetto dello stesso sentimento e per lo stesso animo invitto, si trovava miseramente caduto nelle più dure e crudeli strettezze “.[2]
Mons. Testa decanta la magnanimità e la grande carità umana del Re usata ai profughi che volle accompagnare lui stesso. Michele Amari di questo viaggio del Re da Messina a Randazzo alla testa dei profughi scrive:
“Perché Messina consumava il soccorso di Ruggiero de Flor, tornava alle stretture di prima e peggio; manicandosi, come delicato cibo, nonché dei giumenti, ma cani, gatti, topi; e queste stomachevoli carni, pur si aveano a sminuzzo; e comperare un po’ di pane non bastavano ricche suppellettili, arredi, gioielli. Narro non parti d’immaginativa, ma orribilità certe, che i nostri antichi durarono a salvamento della Siciliana libertà, per lasciarne retaggio, mal guardato di poi.
Allo scurar della notte crescea l’orrore in Messina, cresceano i lamenti; usciano a gridar pane, non i mendici, ma gli agiati, pelle ed ossa, scrive lo Speciale, vergognanti a mostrare il dì quelle spunte sembianze; e molti la dimane si trovavano nelle vie e piazze morti, qual di fame, qual dalla malignità degli scarsi e schifi alimenti.
Talché uno strazio, un compianto era per tutto il Paese; caduta ogni baldanza agli uomini più valenti; le leggiadre donne, non attendendo ad ornamento e cura della persona, squallide mostravansi; e pargoletti si videro morire in braccio alle madri, poppando senza trarre una goccia dal seno inaridito. . . . . . . . .
Da pochi all’infuori, ugual virtù ebbe il popol tutto di Messina, due volte salvator della Sicilia nella guerra del Vespro; il prim’anno, con quel memorabil valore contro la forza viva di Carlo; e l’ultimo con questa più meravigliosa perseveranza contro lo strazio della fame, lento, inesorato, inglorioso, fiaccante corpi ed animi insieme.
Federico dunque, dolente com’egli era della perdita di Blasco, fa spigolar quanta vittuaglia poteasi in Val di Demena, (Randazzo) e, montando a cavallo, vien ei medesimo alla scorta, senza pensare a sé, ma solo al popolo; talché sostando alquanto a Tripi, dopo lungo cammino, due pan d’orzo e un fiasco di vino, che a caso si trovò un dei famigliari, furono la sola imbandigione del re; e sfamatosi, gittossi a terra, facendo guancial dello scudo; e riposato qualche ora, rimontò per fornire la via.
Giunto presso la Città, manda i viveri e torna indietro a raccorre nuovo sussidio, perché bastavano appena a tirar innanzi pochi dì. Tosto rinvenne dunque con altri grani, altri armenti; e allora entrò in Città, allora gli occhi asciutti tra lo scempio del Capo d’Orlando, sgorgarono lagrime al veder il popolo macerato, che sforzavasi a gridargli evviva.
Donde, consultando con Palizzi, deliberossi a rimedio, crudo, ma men del male. Perché i soccorsi di vittuaglie non si dileguino in un baleno, bandisce che la gente più mendica e invalida alla difesa, esca di Messina con lui e sarà condotta in luogo ov’è cibo.( La Città di Randazzo ).
Allora l’irresistibil talento della conservazione di sé stesso, portò casi che da lungi s’estimano spietati: abbandonar Patria parenti, quanto v’ha di più caro; e lagrimando, scrive Speciale, ma non aspettando i figli il padre, le spose il marito, una squallida moltitudine incominciò a poggiare per la via dei colli; e Federico, raccomandata la Città al forte Palizzi, spogliatosi nel duro incontro ogni fasto di Re, ai miseri spatriati si fe’ compagno.
Questo periodo fu il più glorioso della vita di Federico; perché le due virtù ch’egli ebbe sopra ogni altra, umanità e coraggio, bastavano allora a far l’eroe”.[3]
A seguito di questo avvenimento molte illustri famiglie messinesi si stabilirono definitivamente nella nostra città, per cui essa aumentò non solo di popolazione ma anche di ricchezza. Si spiega così come in Randazzo ancora si notano i nomi di alcuni casati messinesi, come i Romeo da cui ebbero origine, in seguito; i Bartolomeo, Visconti di Francavilla; i Consalvo Duchi di Carcaci; i Ruggero dai quali discesero i Baroni di Melilli; la romana famiglia Colonna dalla quale discendono i Duchi di Cesarò e i Marchesi di Fiumedinisi. Fino ad un secolo e mezzo fa esisteva ancora il palazzo di questo nobile casato, con lo stemma gentilizio sovrapposto al portone che rilevava una colonna coronata, palazzo che poi ebbe la famiglia La Piana; la famiglia Lanza discendente da Corrado Lanza Seniore, Barone di Sinagra, le cui ceneri ebbero sepoltura nella Chiesa del Monastero di S. Maria di Gesù; la famiglia Russo, detta pure Rosso o Rossi, che da Federico III ebbe affidato il governo della città di Messina, per poi passare a Randazzo ed il cui palazzo, a forma di torre quadrata, fu successivamente convertito in cappellone della Chiesa di San Domenico: la famiglia Balsamo dalla quale discesero i Marchesi di Castellaci, poi Principi, il loro palazzo era allocato nel quartiere di S. Maria; la famiglia Sollima della quale esisteva un sarcofago sempre nella Chiesa di S. Maria di Gesù; la famiglia Basicò dalla quale discese il famoso Dottore in Legge Jacopo che, non avendo eredi, edificò a proprie spese la Chiesa del Monastero Benedettino di S. Giorgio, sulla cui porta fu apposto lo stemma gentilizio consistente in un vaso di basilico; ed ancora i Peralta, gli Orioles, la famiglia Scala, i Di Paola ed altri ancora che per lungo tratto di storia appaiono in tanti avvenimenti della città che fu da allora la loro patria.[4]
Finalmente dopo tante lotte e sofferenze, il 19 Agosto 1302, con gli auspici di Donna Violante, sorella germana di Federico III e moglie del Duca Roberto di Calabria, iniziarono le trattative di pace tra il Re di Napoli Carlo II d’Angiò e il Re di Sicilia Federico III.
La pace di Caltabellotta portò un po di respiro alla martoriata Isola. Randazzo si ebbe il meritato favore da parte del Re Federico che la dichiarò “Città Demaniale ”, alla stregua delle grandi città della Sicilia, ebbe i suoi Capitoli Civici e per quattro mesi all’anno, nella calda stagione, per Decreto del Re (10 Febbraio 1305) tutti i Baroni del Regno furono invitati a corteggiare insieme alla famiglia reale sulle amene alture del fedelissimo paese. Così Randazzo acquista la prerogativa di Città Regale: il grandioso palazzo reale, l’attuale Casa Scala, fu restaurato e sontuosamente attrezzato; intorno ad esso sorsero ancora più numerose le torri baronali e la città fu animata di splendide cavalcate e feste, mentre il benessere materiale confortò ogni ceto di persone.[5]
In questa Città nel 1312 la Regina Eleonora dà alla luce il reale infante cui, nel Sacro Fonte della Chiesa Parrocchiale di San Nicolò, fu imposto il nome di Guglielmo e, come riferisce l’Abate Amico, gli fu conferito dal padre il titolo di Duca di Randazzo.[6] Da allora in poi tutti i Re di Sicilia mantennero tale titolo.
[1] Dante Alighieri: Divina Commedia. Riferimento a Federico come "Onor di Cicilia", Purgatorio III, 106 -117.
[2] Mario Mandalari: Ricordi di Sicilia – Randazzo. 1907, op. cit.
[3] Michele Amari: Vespro Siciliano. Op. cit. Vol. II, Cap. XVIII, pagg. 286 – 288.
[4] P. Luigi da Randazzo: Cenni Storici della Città di Randazzo. 1946. D. O. Inedito, pag. 91.
[5] S.C. Virzì: Storia – Arte – Folklore in Randazzo. 21° Distr. Scolastico Randazzo. 1985, op. cit. pag. 22.
[6] V. Amico: Lessico topografico sicolo. Voce: Randatium.