Randazzo 1943 - Diario di un Sopravvissuto
Randazzo 1943 - Diario di un Sopravvissuto
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- Categoria: La Storia
- Pubblicato: Mercoledì, 13 Novembre 2019 12:33
- Scritto da Salvatore Rizzeri
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Randazzo – Estate 1943
Diario di un sopravvissuto
La Vigilia di Natale 2012 dalla Francia, (Lione), ho ricevuto la telefonata di mio cugino Carmelo Venezia per gli auguri di fine anno, (ha l’identico nome e cognome della mia defunta madre, cui era affezzionatissimo e alla quale telefonava settimanalmente). Si è intrattenuto per un bel po’ di tempo chiacchierando del più e del meno, chiedendomi in particolare di Randazzo, sua città natale, a cui è attaccatissimo e dove risiedono le sue sorelle ed il fratello. (Entrambi siamo nati nella stessa casa, quella di Via Orioles, nel quartiere di San Nicola, di proprietà di nonno Carmine). Ha anche voluto conoscere il mio indirizzo mail anticipandomi che di li a poco mi avrebbe fatto avere il racconto relativo ad un particolare periodo della sua gioventù.
Trattandosi di persona dalla grande puntualità e precisione, dotata di un’animo sensibile e nobile come pochi, già il giorno dopo ricevevo la sua mail con allegata quella che subito mi è apparsa come una interessante pagina inedita della storia recente di Randazzo. Si tratta del racconto relativo al periodo bellico vissuto personalmente dall’autore, allora ragazzo, che riportandoci indietro di 70 anni ci fa rivivere avvenimenti tragici, luoghi e personaggi sconosciuti ai più, ma meravigliosamente ricchi di umanità: “gente d’altri tempi” si direbbe oggi.
E’ uno spaccato di vita e di eventi vissuti in prima persona, che ci danno l’idea di quelli che furono i giorni drammatici, le sofferenze, i lutti e le distruzioni apportate alla nostra città dalla “pazzia” degli uomini.
Non ho apportato alcuna modifica sostanziale a questa meravigliosa pagina della nostra storia, ho solamente aggiunto le rare ma importanti immagini fotografiche che ho avuto modo di reperire, qualche lieve precisazione e qualche nota a quello che ho voluto intitolare: “Diario di un sopravvissuto”
Randazzo 15 Agosto 1943 - Largo Ain-Zara
13 Luglio 1943
Era una giornata particolarmente luminosa, con il sole splendente e un caldo quasi torrido, il cielo era azzurro e trasparente. In quel periodo, con le scuole chiuse e gli insegnanti in vacanza, mia madre mi affidava alle cure di una maestra d’asilo, anche perchè lei in quegli anni lavorava alle dipendenze della Manifattura dei Tabacchi. Lo stabilimento, a causa della guerra, era stato trasferito da Catania a Randazzo ed installato al piano terra del Convento Benedettino di Santa Caterina, nell’ala che si affaccia sul Corso Umberto I°. Il personale era costituito prevalentemente da donne, molte delle quali catanesi e randazzesi. Erano queste che si dedicavano al confezionamento delle sigarette.
La manifattura di Randazzo alimentava l’intera Regione, ma anche la truppa tedesca, molto numerosa nella nostra città in quel mese di Luglio del 1943. La mia maestra abitava di fronte casa mia, esattamente all’angolo della Via Duca degli Abruzzi e la Via Cellini. Si chiamava Santina Lo Giudice; ho saputo che è deceduta qualche tempo fa nella Regione di Milano. Era stata educata nel Convento delle Suore di Santa Caterina, ed era una grande esperta nell’arte del ricamo, sapeva inoltre inculcare nei bambini cui badava, l’educazione, il rispetto e le buone maniere. La nostra classe era sistemata in una grande stanza dove si apriva un’antica finestra in pietra lavica ad arco semicircolare, con una chiave di volta scolpita con grande maestria da un artigiano scalpellino randazzese verso la meta’ del XVIII secolo. Questa finestra non esiste ora più, demolita da mani inesperte, è stata trasformata in un’anonimo moderno balconcino.
Quel giorno l’orologio della Chiesa di Santa Maria segnava le ore 11 e 15 minuti; sentivamo in lontananza il rombo dei motori degli aerei in avvicinamento e ci siamo subito alzati dalle nostre sedie per ammirarli. Se ben ricordo erano un gruppo di 12, perfettamente allineati, ed avevano una doppia coda; si trattava forse di aerei tipo Noratlas di fabbricazione francese. (In realtà si trattava dalla 9^ AF - Air Force americana -, con gli aerei B-25 e P-40, e dalla NATAF - North West Tactic Air Force -, con i bombardieri Wellinghton).[1]
Bombardieri Italiani Savoia-Marchetti
Venivano da Ovest e si dirigevano verso Est. L’ammirazione era enorme per noi bambini, talmente lo spettacolo era bello. Ma qualche minuto dopo abbiamo sentito uno scoppio seguito da una serie di enormi boati mentre una grande nube di fumo e di polvere si levava in alto. Avevano bombardato la Stazione della Ferrovia Circumetnea. Ci fu un grande panico: bambini e mamme nelle strade che piangevano, gente che correva in tutte le direzioni alla ricerca dei bambini e dei propri famigliari. Molti abitanti intuendo che non si sarebbe trattato di un’azione isolata, subito prepararono qualche sacco rienpiendolo di indumenti di coperte e dell’indispensabile per poi allontanarsi dal centro della Citta’ e trovare rifugio nelle campagne, nelle grotte e nei vecchi casolari dei Nebrodi e delle pendici dell’Etna. Per quanto riguarda la mia famiglia, verso le ore 13 i miei nonni, Carmelo Venezia e il nonno materno Gaetano Sangrigoli, combattente della Guerra del 1915-18, aveva anche partecipato alla battaglia di Caporetto, decisero di trasferirci tutti al Mulino di « Citta’ Vecchia ».
Uscendo dalla « Porta Pugliese » raggiungemmo la riva sinistra del fiume Alcantara e ci recammo a piedi al Vecchio Mulino. La paura era enorme, mia zia Maria, all’epoca giovane donna, rimase paralizzata dalla paura ed incapace di camminare, il nonno Gaetano infatti dovette trasportarla sulle sue spalle fino alla meta. Strada facendo lungo le rive del fiume il terreno era disseminato da migliaia di volantini lanciati dagli aerei alleati, che ordinavano alla popolazione civile lo sgombero della Città.
Gli Americani alla periferia di Randazzo
La sistemazione nei locali del vecchio mulino non fù cosa semplice; la nostra piccola comunita’ era composta dai nonni materni, Gaetano e Antonina, dalla zia Maria, dallo zio Giuseppe, all‘ epoca tredicenne, da mia madre Alfia, mio padre Giuseppe, mia sorella Anna e dalla mia sorellina Antonina nata quattro mesi prima, che ogni qualvolta sentiva il rumore degli aerei si metteva a piangere, ed infine da mio nonno paterno Carmelo di professione Mugnaio, da parecchie generazioni. Si viveva assieme ad altre famiglie catanesi all’interno di una grotta che si apriva di fronte al mulino e nelle poche stanze al piano superiore dello stesso, all’epoca in perfetta efficienza e gestito da mio padre e dal suo socio il Signor Antonino Caggegi, nonno del nostro attuale medico, assieme ai suoi due figli Nino e Orlando.
Si dormiva per terra sopra un po’ di paglia con qualche coperta a ripararci dal freddo della notte, l’alimentazione era piu’ che razionata ed era anche difficile e pericoloso muoversi dai rifugi alla ricerca di cibo, perchè ogni due ore gli aerei venivano a bombardare la nostra citta’ e man mano che passavano i giorni le incursioni si facevano sempre più intense e frequenti. La notte, prima di sganggiare le bombe, gli aerei illuminavano Randazzo con i loro razzi per individuare gli obiettivi da colpire. Sembravano tanti fuochi d’artificio, erano invece fuochi portatori di morte e distruzione. Rimane ancora inspigabile come mai gli alleati, di solito ben informati, si accanirono in un modo così massiccio e devastante contro la Città, al cui interno non vi erano ne postazioni antiaeree ne comandi militari Italo-tedeschi, che si trovavano invece ben acquartierati tutt’intorno alle colline che sovrastano la Città e alla periferia di Randazzo. Vennero indiscriminatamente distrutte ed incendiate: case, palazzi, Chiese, nonchè i più bei monumenti architettonici di epoca normanna, sveva, aragonese e dei secoli successivi. Opere pittoriche di grande pregio, sculture e affreschi di incommensurabile valore, mobili d’epoca, statue, oggetti sacri e quant’altro. Per non parlare degli archivi storici della Città, tutti completamente distrutti e con essi i libri, i documenti, le pergamene greche, latine, bizantine e i codici arabi. Interi quartieri demoliti, non si risparmiarono nemmeno i defunti: venne centrato più volte anche il Cimitero. Tanti i morti, tantissimi i feriti.
L’artiglieria Alleata bombarda la città
Una notte della prima settimana del mese di Agosto, anche la zona dove si trovavano i nostri rifugi, venne bombardata; fortunatamente il mulino non subì danni. Una aereo inglese venne però centrato dalle batterie antiaeree e cadde nelle vicinanze. In quei giorni le squadriglie dei bombardieri inglesi e americani avevano l’ordine di distruggere a tutti i costi il Ponte sul Fiume Alcantara; la manovra di discesa in picchiata degli aerei che dovevano centrarlo con le loro bombe, in quella stretta valle, era però molto difficile e pericolosa per la posizione dello stesso; molti infatti furono gli aerei alleati che si schiantarono contro la collina o che caddero con il loro carico micidiale di bombe all’interno della città che dista dal ponte solo poche decine di metri. In vista della imminente ritirata, il ponte era però gia’ stato minato dalle truppe Italo-tedesche e predisposto per la distruzione dopo il loro passaggio, cosa che regolarmente avvenne il 13 di Agosto del 1943.[2]
Intensificandosi i bombardamenti rimanendo in quei nascondigli era divenuto molto rischioso. I nostri genitori e gli anziani decisero allora un’altro spostamento. Di notte venne caricato con le nostre masserie l’asino, un docile animale che chiamavamo Ciccio e che normalmente veniva utilizzato per il trasporto dei sacchi di grano e di farina destinata ai clienti. Questa volta però il carico era ben diverso: coperte, il poco cibo rimasto e sopratutto molta acqua. Tutta la nostra communità si spostò così sulle falde dell’Etna in una zona chiamata « Mandrazzi ». Avevamo trovato rifugio in una vecchia casetta costruita in pietra lavica a secco, era nascosta tra i cespugli e circondata da ginestre in fiore; la zona era ricca di erbe aromatiche, l’aria era fine e molta profumata; da questo posto però non vedevamo piu’ Randazzo.
Faceva parte del nostro gruppo di sfollati anche un cugino del nonno Gaetano; ci aveva raggiunti al rifugio assieme ad una famiglia catanese composta dal papà, mamma e due figli della mia età. Il cugino del nonno era nato a Catania e si chiamava Nino Spitaleri; amava moltissimo la nostra Vecchia Randazzo ed era rispettosissimo dei suoi amici randazzesi. In passato aveva comprato un piccolo vigneto in Contrada «Pirao», che coltivava con tanto amore e tanta passione. Produceva una modesta quantita’ di vino rosso genuino, pieno di aromi e di sapori. Amava particolarmente gli animali e qualche tempo prima aveva comprato una capretta; noi bambini erevamo molto affezionati a questo animale, anche perchè amava essere accarezzata e per noi era come un compagno di giuoco. Era il nonno Carmelo, (nella corporazione dei vecchi mugnai era chiamato Carmine), quello che aveva il compito giornaliero di andare a raccogliere le buone erbe per nutrirla. Mia madre, a causa della paura e dei grossissimi problemi di ogni giorno, non poteva piu’ allattare la mia sorellina Antonina, ed è grazie al poco latte che questo generoso animale poteva dare, che mia mamma ha potuto nutrire per qualche tempo la sua neonata.
Si soccorre un ferito
In questo periodo si era anche diffusa una epidemia di malaria, ed anch'io ne rimasi contagiato, la febbre era altissima e avevo tremendi mal di testa. Mia nonna Antonina, infaticabile lavoratrice e donna affettuosa con tutti, era riuscita a procurare del chinino con il quale mi curava. Di un gusto più che amaro, era il solo farmaco allora conosciuto per curare questa malattia. La vita giornaliera era organizzata dagli anziani; ognuno aveva il suo compito. Bisognava soprattutto procure il cibo, andare a raccogliere le erbe selvatiche per le minestre, trovare un po’ di frutta, raccogliere tutto quello che la natura e la stagione poteva offrirci. Mio padre aiutava la nonna a preparare le lasagne con quel poco di farina che rimaneva; il nonno Gaetano ed il nonno Carmelo andavano in cerca della legna per accendere il fuoco, stando bene attenti a non fare fumo ed evitare qualsiasi riferimento che potesse segnalare la nostra presenza alle truppe tedesche. Le donne si occupavano anche della pulizia del luogo; lo zio Nino fungeva da barbiere; teneva molto alla pulizia e tutti i giorni la barba era di rigore. Durante questo periodo mio zio Giuseppe mi conduceva in un luogo non molto distante dal casolare dove alloggiavamo, in cima ad una piccola antica colata lavica aveva costruito con i rami delle ginestre una piccola capanna ben nascosta; da questo punto di osservazione potevamo ammirare il panorama.
Un giorno di Agosto, erano le 15, quando un gruppo di una ventina di soldati armati con fucili e mitragliatrici bussarono alla porta della vecchia casa. Mio zio credeva che fossero soldati tedeschi; in quel periodo cercavano i muli ed i cavalli che da li a poco sarebbero serviti per la ritirata. Molte donne in questo periodo erano state violentate da soldati tedeschi e la paura era tanta, fortunatamente si trattava invece di soldati italiani che cercavano i paracadutisti e i piloti alleati precipitati con i loro aerei e dispersi nelle campagne circostanti la città, soprattutto verso Monte Colla e sulle pendici dell’Etna. Rivolsero ai nostri nonni molte domande e alla fine chiesero solamente un po’ d’acqua per dissetarsi, che venne offerta con molta generosità a quei bravi,coraggiosi e onesti soldati.
Dalla località dell’Etna dove eravamo rifugiati, come ho già detto, non si riusciva a intravedere la martoriata città, ma udivamo sempre il rumore degli aerei e lo scoppio dei micidiali ordigni che venivano lanciati sulle abitazioni e sugli obiettivi strategici. Il poco cibo portato da Randazzo in tutta fretta durante la fuga, dopo tanti giorni trascorsi in quelle condizioni, cominciava a scarseggiare; ma ciò che ci preoccupava di più era la mancanza di acqua e dove poterla reperire. (Ricordiamoci che i tragici avvenimenti che raccontiamo avvennero dalla metà di Luglio alla metà di Agosto del 1943, quindi in piena estate).
A qualche chilometro più a monte rispetto al luogo ove ci trovavamo, c’e la Contrada «Cisternazza». Questa località, era abitata dalle famiglie Spartà, che per l’occasione ospitavano nei vecchi caseggiati della masseria anche qualche altra famiglia randazzese. Era il solo luogo dove si poteva trovare l’acqua che veniva distribuita dal Signor Salvatore Spartà, (pace alla sua anima), gratuitamente a tutte le persone sfollate in quella zona che ne facevano richiesta.
Quasi giornalmente il nonno Gaetano si recava con il suo asino non solo in questa contrada ma anche alla lontana « Grotta del Gelo », riscendendone poi con grossi pezzi di ghiaccio che sciogliendosi ci fornivano la preziosissima acqua. Il nonno Carmelo raccontava che le famiglie Spartà erano i più grossi ed importanti allevatori di ovini della nostra zona; producevano un formaggio pepato piu’ che squisito, forse il migliore della Sicilia, che esportavano in grandi quantità anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti.
13 Agosto 1943 – Gli alleati occupano Randazzo - Chiesa di S. Martino e Corso Umberto I
L’11 di Agosto fu l’ultimo giorno di bombardamenti aerei subiti da Randazzo, le truppe alleate avevano già superato le prime linee di difesa della Città ed erano ormai vicinissime a Randazzo; con i cannoni di grosso calibro iniziarono allora i tiri per centrare le postazioni dell’ultima resistenza tedesca. Ma i calcoli e la direzione del tiro risultarono ancora una volta errati e l’errore fu tristemente fatale per la popolazione civile. I notri genitori e gli anziani decisero pertanto di allontanarci da quel luogo divenuto ormai pericolosissimo e trovare un’altro nascondiglio. Gli ordigni passavano al disopra delle nostre teste, provocando un rumore ed un sibilo indescrivibili; pensavamo infatti che da un momento all’altro per noi tutto sarebbe finito.
Avevo ancora la febbre e mia mamma mi trasportò sulle sue spalle in una piccola grotta al riparo dai proiettili di artiglieria. I tiri erano destinati alla resistenza tedesca, ma colpivano la popolazione civile. Le vittime sono state numerose, poi essendosi accorti dello sbaglio, gli alleati corressero il tiro, ma il danno era ormai compiuto e specialmente nella Contrada « Nave » vi fù una vera e propria strage di civili.
Finalmente il 13 Agosto 1943 le truppe alleate occupavano ciò che rimaneva della nostra bella e gloriosa Città, mettendo fine a 31 lunghissimi giorni di combattimenti. Qualche ora prima le truppe tedesche avevano abbandonato Randazzo non prima che i loro guastatori avessero fatto saltare per aria il deposito munizioni di contrada « Allegracore » e il « Ponte Nuovo » sul Fiume Alcantara.
Randazzo - Il Ponte sull’Alcantara distrutto
Lo spettacolo che si presentava era allucinante: le strade ingombrate da montagne di macerie, moltissimi i cadaveri di civili e militari semicoperti di polvere, ovunue bombe inesplose, moltissime le case sventrate e senza tetto, vecchi palazzi incendiati, le cupole delle Chiese di San Nicolo’ e San Martino demolite, gli interni completamente devastati così come tutte le innumerevoli opere d’arte e gli archivi li presenti. La Basilica di Santa Maria, anche se la meno danneggiata, era ridotta in uno stato pietoso: il suo grandioso organo dall’elegante mobile intarsiato e indorato, era stato completamente distrutto,[3] così come quelli di San Nicola e di San Martino. Copolavori antichi realizzati con tanta passione e maestria dai nostri antenati. Bombardato anche il Vecchio Convento di San Domenico adibito ad oratorio dai Padri Salesiani; tutte le domeniche li venivano radunati i ragazzi dei vari quartieri della città e dopo la Santa Messa ci veniva data sempre una dolce ricompensa. Completamente distrutti i Monasteri Benedettini di clausura di Santa Caterina, di San Giorgio e di San Bartolomeo, il Convento del SS. Salvatore dei Padri Cappuccini, quello di S. Michele Arcangelo dei Carmelitani e sul colle di San Pietro anche la meravigliosa Chiesa ed il Monastero di Santa Maria di Gesù. Distrutto, come tanti altri, il palazzo del Barone Paolo Vagliasindi, allora sede del « Museo Archeologico », che si impoverì notevolmente per la perdita di una enorme quantità di reperti. La piccola Chiesa di San Giuseppe, compatrono della città, si presentava semidiroccata; ricordo ancora che la Statua del Santo, privata del suo braccio destro, rimase fuori all’aperto per molto tempo.
La citta’ era disseminata da montagne di bossoli, di armi da fuoco di ogni genere, di bombe a mano e grosse bombe d’aereo inesplose, da cartucce per le mitragliatrici e da veicoli militari tedeschi semidistrutti. Andando poi verso Contrada « Bocca d’Orzo », nei pressi della proprieta’ della nobile famiglia Ribizzi, c’erano ancora molti cannoni di grosso calibro e mitragliatrici tedesche anch’essi distrutti dagli aerei americani. Lo scenario era da Inferno Dantesco. Tantissimo si sarebbe potuto salvare o recuperare ma la gente aveva ben altro a cui pensare: non c’era dove dormire e mancavano del tutto i generi di prima necessità. Basti ricordare che i volumi e gli importantissimi documenti d’archivio disseminati nelle Chiese e nei Palazzi Nobiliari, vennero utilizzati al posto della legna per fare il pane da distribuire alla gente. Si doveva ricostruire in fretta per poter dare una casa alle migliaia di cittadini obbligati a vivere nelle campagne. La ricostruzione di Randazzo fu lunga e difficile anche perché le Autorita’ dell’epoca non seppero o non vollero utilizare i finanziamenti e le agevolazioni di Legge di cui nel dopoguerra usufruirono altre città con danni di gran lunga minori rispetto a quelli subiti da Randazzo. Si ricostruì senza un preciso Piano Regolatore, fu questo il piu’ grande errore che comportò più danni dal punto di vista artistico e architettonico di quelli provocati dalle bombe.
Randazzo Agosto 1943 – Corso Umberto I
Ricordo che per lo sgombero delle strade e per i lavori urgenti, era la Ditta Palermo che aveva questo incarico. Il lavoro era molto duro e faticoso per i poveri operai che dovevano faticare semplicemente con la forza delle loro braccia. I moderni macchinari non esistevano ancora, il trasporto dei materiali si faceva con i carretti e con l’aiuto dei cavalli e degli asini. In periodi e in circostanze così tristi e drammatici non dobbiamo dimenticare il grande lavoro svolto dai medici locali e dal personale sanitario presente nell’Ospedale di Randazzo: il Dott. Giambattista Panissidi, il Dott. Filippo Finocchiaro, il Chirurgo Dott. Giuseppe Petrina, il Dott. Gaetano Mannino, suo padre il farmacista Dott. Vincenzo, eminente chimico e uomo di grande umanità, il Dott. Sebastiano Germanà. Disponevano di pochissimi farmaci e di scarse attrezzature chirurgiche e malgrado le enormi difficoltà hanno potuto curare e salvare da morte sicura, centinaia di vite umane. Per non parlare delle cure e dell’assistenza prodigate ai feriti, agli infermi, e ai mutilati dalle Autorità Religiose: il Canonico Don Giuseppe Finocchiaro, Cappellano militare e combattente della guerra del 1915 – 1918; assistiva i feriti e benediceva i morti sul fronte della battaglia di Caporetto, il Canonico Don Eduardo Lo Giudice, l’Arciprete Mons. Giovanni Birelli, i Padri Salesiani del Collegio San Basilio, le Suore del Monastero Benedettino di Santa Caterina e soprattutto i Monaci del Convento dei Cappuccini.
Il lavoro delle Suore e dei Religiosi in queste tristi circostanze fu di fondamentale importanza. Cosa non dire di Suor Livia che aveva istallata a fianco dei ruderi dell’ antico « Palazzo De Quatris », una cucina da campo fornita dagli americani e tutti i giorni, con l’aiuto di altri benefattori, preparava il cibo che veniva distribuito gratuitamente a tutti i bisognosi, numerosissimi in quel periodo. Le Suore del vecchio Ospedale di Randazzo, che oltre ad aiutare i medici nel loro lavoro, accoglievano ed assistevano nelle corsie feriti ed ammalati. In questa « Apocalisse » si distinsero particolarmente i Frati Cappuccini, numerosi allora a Randazzo, e specialmente il Priore Padre Luigi Magro da Randazzo, che conoscevo fin da bambino. Oltre che all’interno della città tra la povera gente, visitava anche gli ammalati ed i feriti ricoverati nell’altro Ospedale, quello militare, sistemato e gestito dagli Alleati nei locali del grande «Palazzo Vagliasindi», in Contrada « Feudo », sul rettilineo della Strada Provinciale che porta al Bivio per Moio Alcantara dove anch’io venni ricoverato. [4]
Randazzo - Contrada « Feudo » - L’Ospedale Militare Americano
Abitavamo in contrada « Bocca d’Orzo », in una modesta casa di campagna di proprietà del sig. Angelo Palermo. A seguito dell’incendio e dello scoppio provocato da un sacchetto di polvere destinata alla carica dei bossoli per i cannoni, rimasi ferito: il mio viso era irriconoscibile, una parte del mio corpo ustionato. Devo la mia salvezza e la guarigione alla bravura, alla professionalità e all’esperienza di un giovane Ufficiale Medico americano il quale, con i metodi impiegati per i loro militari, ha saputo dopo molti interventi guarirmi senza lasciare alcuna traccia sul mio corpo. Avevo un po’ piu’ di nove anni e ricordo il buon Padre Luigi, Priore dei Cappuccini, sempre presente in questo luogo di sofferenze; era un Fraticello buono, umile e Pio, si avvicinava spesso al mio lettino prodigandomi molte carezze; incoraggiava i feriti, gli ammalati, le Suore, in particolare Suor Caterina e tutti i medici. Celebrava la Messa nella grande sala e subito dopo ripartiva per raggiungere il suo Convento di Randazzo, il più delle volte a piedi mancando i mezzi di trasporto, (sono oltre sei chilometri). Portava ai suoi piedi un paio di vecchi sandali senza calze, sia in estate come in inverno.
Nella nostra dimora provvisoria in campagna, i giorni trascorrevano lenti monotoni; la nostra casa, anch’essa distrutta, venne ricostruita con tanti sacrifici e lavoro dai miei genitori. Poi finalmente il ritorno alle nostre scuole, il contatto con i nostri maestri: Gangemi, Sangrigoli, Lo Giudice, Don Trecariche al Collegio San Basilio, ed altri ancora. Si sperava in un avvenire migliore, fatto di pace, di lavoro, di serenità dopo tale enorme e disastrosa tempesta. I primi anni del dopo guerra sono stati invece molto duri e dolorosi. Alle nostre mamme mancava di tutto, anche l’indispensabile. Noi giovani ci accontentavamo del poco di cui si disponeva e tante famiglie patirono anche la fame.
Randazzo 17 Agosto 1943 – Colle dei Cappuccini
Un’altra Epoca giungeva, quella che io chiamo «EXODE », L’EMIGRAZIONE.
Sono nato a Randazzo, nel quartiere di San Nicolò 76 anni fa. A l’età di 21 anni dovetti emigrare all’estero così come altre migliaia di randazzesi. La vita non è stata facile, specie nei primi anni. Molte cose però del nostro carattere e della nostra cultura ci hanno aiutato: la volontà, l’onestà, le nostre competenze professionali e la qualita’ del nostro lavoro. Grazie a tutto questo abbiamo dato lustro e onore alla nostra terra natia.
Desidero ricordare a tutti i giovani randazzesi che la nostra Città era ricchissima in agricoltura e artigianato: muratori, fabbri, calzolai, falegnami, maestri sarti, erano tra i migliori della Sicilia. Per non parlare degli artisti: pittori, scultori, musicisti e degli intellettuali; moltissimi dovettero emigrare e disperdersi per il mondo intero. E’ stata una grande perdita per la nostra Città, non bisogna dimenticare infatti che prima di questa catastrofe Randazzo contava diciottomila abitanti, scesi a tredicimila nel giro di un solo anno. Randazzo, ha perduto un numero importante per quantità e qualità dei suo figli, continuando di questo passo, un giorno forse perderà anche la sua anima.
Randazzo, Natale 2012
[1] S. Rizzeri: “Randazzo e la sua storia . . . ”. La Battaglia di Randazzo del 1943. Cap. XVIII, Pag. 269.
[2] S. Rizzeri: “Randazzo e la sua storia . . . ”. La Battaglia di Randazzo del 1943. Cap. XVIII, Pag. 272.
[3] S. Rizzeri: La Battaglia di Randazzo del 1943. “. . La Chiesa di Santa Maria fu fortunatamente l’unica delle Tre Cattedrali che si salvò dalla totale distruzione. Venne però centrata da una bomba d’aereo che colpì l’abside centrale, danneggiando la parte sommitale, senza che però l’artistico e monumentale altare maggiore all’interno della Chiesa fosse minimamente scalfito. Si incendiò invece il retrostante grandissimo e meraviglioso organo di scuola napoletana. Nel dopoguerra l’abside venne ricostruita, così come era, in pietra lavica, da mio padre Vincenzo Rizzeri e dai suoi fratelli, scalpellini, che assieme gestivano la cava di basalto di contrada “Murazzorotto”.
[4] S. Rizzeri: La Battaglia di Randazzo del 1943. “. . . Passata l’emergenza l’Ospedale militare venne chiuso e le attrezzature utilizzate, (sala operatoria e materiale sanitario), vennero donate dagli americani all’Ospedale Civile della città”.