La Chiesetta degli Agathoi

La Chiesetta degli Agathoi

Salvatore Rizzeri

LA CHIESETTA DEGLI AGATHOI

e i suoi affreschi

Continuando nella mia ricerca sulle opere, per così dire “minori“, della nostra graziosa cittadina, ho voluto porre l’attenzione sulle chiesette medievali che, a detta degli storici, numerose dovevano sorgere, sia all’interno del perimetro urbano della città, che sparse sul suo territorio.[1] Compito non facile il mio, non potendo disporre del materiale adatto a tali ricerche e dovendo pertanto procedere a tantoni cercando di ricucire poche e frammentarie notizie che di volta in volta riesco a procurarmi. Eppure queste chiese dovevano essere in numero veramente notevole: Don Virzì in uno dei suoi tanti scritti, rifacendosi a quanto aveva già indicato nel suo manoscritto il più insigne storico Randazzese: l’Arciprete Don Giuseppe Plumari ed Emmanuele ( 17 Agosto 1770 – Ottobre 1851 ), afferma che ben 99 sono quelle presenti sul territorio di Randazzo e di cui si hanno notizie certe.[2] Naturalmente il tempo, l’incuria dell’uomo e gli eventi bellici, hanno prodotto dei danni irreparabili per cui oggi, oltre alle ben note e grandi Cattedrali del cento storico, nulla o quasi rimane dell’arte chiesastica primitiva. Da bambino mi ero fermamente convinto che il quartiere di “ Tutti Santi “ dovesse tale nome alla sua vicinanza col Cimitero di Randazzo, chissà poi perché! Da persona matura, invece, la logica mi ha portato a constatare che quasi tutti i quartieri della città portano il nome del Santo cui è dedicata la chiesa attorno alla quale essi sorgono. Quindi mi sono chiesto se anche in questo quartiere, in passato, non sorgesse qualche costruzione sacra che le avesse dato tale nome.

In verità qualche anziano abitante del luogo mi aveva parlato vagamente di una chiesetta denominata di  “ Tutti Santi “, che doveva lì sorgere fino agli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, per essere poi definitivamente distrutta di bombardamenti alleati del Luglio-Agosto 1943. Notizie però troppo vaghe e frammentarie, non avvalorate né da eventuali reperti, né da alcun documento.

Chi per primo, invece, notò l’esistenza di questa chiesetta all’estremo limite del paese in direzione delle falde dell’Etna, fù il Ven. Padre Salesiano Don Amistani, il quale appena giunto a Randazzo, siamo nei primi anni del millenovecento, affacciandosi un giorno da una delle finestre del Collegio San Basilio, aveva visto che alcuni contadini, legate delle corde ad un campaniluzzo, e queste a otto buoi, lo avevano buttato giù.[3]

La chiesetta che aveva posseduto quel campanile in seguito era diventata un magazzino. Il padre Salesiano, però, non fa alcun cenno circa la sua denominazione che, quindi, proprio in quell’anno viene adibita ad uso profano.

La troviamo nominata per la prima volta in un’opera di Walter Leopold;[4] lo studioso, nell’attento e minuzioso esame dell’architettura Randazzese, la cita con tre parole e ne fa un sintetico rilievo a penna, senza però fornire altri elementi utili per uno studio approfondito.

La scoperta e lo studio completo di questa ormai scomparsa chiesetta si deve però ad un grande ed illustre studioso, ad un maestro impareggiabile, al primo e più innamorato conoscitore della nostra città, così come lo definisce il Salesiano Don S. C. Virzì:[5] Il Prof. Enzo Maganuco, ricercatore di tutte le opere d’arte nascoste nelle chiesette più impensate, nei paesetti più sperduti, nelle grandi città. Titolare delle cattedre di Storia dell’Arte e Tradizioni popolari nelle Università di Catania e Messina, unitamente al Reverendo Don S. C. Virzì, può certamente essere considerato lo scopritore del valore artistico della nostra cittadina, su cui scrisse pagine ed opere che ancora sono fondamentali per chi vuole conoscere Randazzo, la sua arte, le sue bellezze artistiche e paesaggistiche.

Giunto a Randazzo sulle tracce di una chiesetta dugentesca citata da Rocco Pirri nella sua “ Sicilia Sacra “, Sancta Maria in Memore, il Maganuco venne invogliato, durante la sua ricerca, da una strana notizia a lui pervenuta mentre col binocolo da Piazza S. Giovanni Bosco osservava l’architettura delle chiesette poste alla periferia del paese in direzione delle falde dell’Etna, ed in particolare la sua attenzione venne attirata da una chiesetta di evidente pianta bizantina simile a quella di S. Nicola della vallata dell’Alcantara, nei pressi di Francavilla di Sic. La strana notizia era proprio quanto gli raccontò di aver visto, non appena giunto nella città, circa quarant’anni prima, il Rev. Salesiano Don Amistani a proposito dell’abbattimento di quel campaniluzzo, di cui abbiamo detto prima.

Recatomi sul posto, subito, all’estremo limite del paese, trovai infatti una chiesetta ad unica navata, ………….”[6].

Ed è grazie alle sue foto, alla precisa e minuziosa descrizione che ne ha fatto il Prof. Maganuco se oggi, oltre a conoscerne il nome, siamo in grado di avere notizie dettagliate su questa deliziosissima chiesetta dugentesca ormai scomparsa. Era una chiesetta ad unica navata, con delicato arco acuto e rosoncino altissimo sulla porticina gotica solo nell’arco, ove al posto di colonnine e di pilastri si trovavano dei modesti conci squadrati. Gli spigoli della parete frontale erano costituiti da conci lavici alternati, legati fra loro da malta bianchissima e, più in basso, alla stessa altezza degli stipiti della porta si notavano conci angolari più tozzi, più rozzi e meno estesi. Si trattava cioè di un edificio in cui si evidenziava l’impronta, per così dire, di un gotico rozzo ed arcaico. Dietro l’abside si apriva un giardinetto, ove al centro si trovava un pozzetto gotico ottagonale, in pietra arenaria, in tutto simile a quello del giardino del Palazzo del Duca di S. Stefano in Taormina.

Si accedeva al giardino per una porticina posteriore aperta direttamente sull’abside dietro l’altarino e sulla quale, a mò di architrave, un barbaro ricostruttore volle creare una specie di fastigio ad architrave, usando gli archetti lavici e i tasselli delle due finestre poste sulle pareti laterali della chiesetta. Accanto a questa porta arbitraria e tardiva ve n’era un’altra di pura impronta gotica, a sagoma tardo dugentesca, allora ben conservata, che dovette appartenere alla sacrestia, la quale sicuramente non comunicava direttamente con la chiesetta, ma dovette essere una stanzetta ai piedi di quel piccolo campanile del quale si è descritta prima la distruzione.

La chiesetta, afferma il Prof. Maganuco, è certamente anteriore a quella di S. Vito e posteriore al S. Nicolò sull’Alcantara, sicuramente coeva a parecchie costruzioni della nostra città quali Palazzo Lanza e la casetta di Via Agonia.[7] 

Quando la visitò il Prof. Maganuco, la chiesetta era ormai ridotta a magazzino di sarmenti ed a  cantina vinicola, appartenente alla famiglia Sangrigoli. “ All’interno, sullo squallore di misere suppellettili, colpiscono l’occhio gli affreschi sopravvissuti alle ingiurie degli uomini che più del tempo hanno crostato l’intonaco e l’arricciato piantando chiodi e travi…”.[8] La calotta absidale non portava traccia di affresco, ma ai lati si intravedeva l’Annunziazione e tutt’attorno sulle pareti, delimitate da cornici bicrome, figure di Santi, fra i quali una martire cara alle popolazioni della regione Etnea: Sant’Agata.

Non vi era neppure traccia di affreschi sulla parete interna corrispondente al muro frontale. La sequenza iconografica degli affreschi che ne fa il Maganuco muovendo da sinistra verso lo sguancio dell’abside è la seguente:

La Santa che ci appare per prima tiene la mammella in mano; si riconosce subito la martire catanese nonostante la corrosione verso la base abbia abraso le didascalie che per certo dovettero esserci, come negli affreschi della parete opposta. La riquadratura che conteneva S. Agata misurava cm. 87 x 210 ed era di forma rettangolare a cornice bicroma, dentro portava iscritto un trilobo con la figura della Santa. Il manto era di un rosso acceso con orlo giallo, la veste verde; la tinta rimasta del volto tendeva leggermente al roseo. Il trilobo era a fondo d’oltremare e viola; il nimbo color ocra verdina.

Il riquadro seguente conteneva una figura di Santo Apostolo con penna, forse un Evangelista, anch’esso iscritto in un trilobo poggiante su una colonnina all’apice della quale stava un capitello con decorazioni.

L’Apostolo o Evangelista aveva un volto austero, dipinto in giallo verdino con le solite sfumature in bianco nei capelli e nella barba. L’aureola anch’essa color giallo, il soprabito rosso con risvolti iridescenti.

   

Tra il trilobo dell’Apostolo ed il riquadro di Sant’Agata, stavano tre scene della vita della martire catanese ( cm. 26 x 28 ). La prima scena, in alto trilobata e sormontata da una cuspide decorativa, rappresenta S. Pietro che visita la Santa in carcere; nel centro la Martire di fronte a Quinziano seduto, e in basso la scena del martirio.

Sulla parete attorno alla calota absidale compariva la figura di un Angelo, San Gabriele, non iscritto in alcun trilobo, con aureola color giallo; le ali anch’esse color giallo e rosso. La veste era tinta in rosso, ma il pittore la rende iridescente con giallo e luci bianche. La stoffa che avvolgeva il petto ed il braccio aveva una tinta viola pallido.

La tecnica seguita nell’affresco di tale figura, prosegue il Maganuco, è molto lineare e con uno schematismo quasi Bizantino. Oseremmo dire che si tratti di una tecnica anteriore a quella delle figure del resto della chiesa.

Sul lato opposto della parete appariva la Vergine Annunziata, anch’essa iscritta in una riquadratura bicroma e con una ampia aureola attorno al capo. Il suo manto era rosso con leggere seghettature bianco-azzurrognole sul braccio; tiene in mano un libro.

Il nimbo color giallo su fondo di ocra verde era leggermente simile al giallo verdognolo del volto, ombrato di verde tenerissimo sulla guancia e sotto le sopracciglia. Le sopracciglia, l’ombra spiovente del naso e del mento, erano rese da una sfumatura che varia da un rosso cupo sordo alla terra di Siena.

All’inizio della parete destra, dove fu la porta laterale, c’è un’interruzione e in alto si intravede il biancore della muratura, posteriore all’edificazione della chiesetta stessa, che ha otturato la finestra a feritoia.[9] Le figure al lato della Madonna erano assai corrose e più che scolorite, si mostravano ormai solo attraverso stesure sommarie di giallo intenso e di rosso cremisino; ad ogni modo, per quanto corrose, le figure della prima parte della parete destra, tre in tutto, erano ancora visibili al tempo in cui le annotò e le fotografò il Prof. Maganuco.

La prima, a destra di chi entra, aveva il collo ed il volto trapassati da una trave deturpante, l’abito, tempestato di gemme e di perle, era di color cremisino acceso, forse ottenuto con rosso di Taormina.

Il Santo teneva in mano una bacchetta e sullo sfondo giallo si intravvedono sfumati in marrone e in terra di Siena naturale dei riccioli biondi. Si tratta di S. Michele. L’altro Santo, entro un trilobo verde, era irriconoscibile e portava dietro il volto in due didascalie staccate  “ Sanctus bade rius “ a carattere gotico-latino.

Queste due figure della parete destra che seguivano quella dell’Annunziata non erano divise tra loro da una serie di illustrazioni di episodi o di miracoli come s’era visto nella parete di fronte per S. Agata e l’Apostolo, ma da un capitello e da una colonnina sui quali poggiano i due trilobi nei quali erano iscritte S. Chiara e un’altra Santa, forse la stessa Vergine recante il Bimbo.

Predomina tutto un giallore diffuso e quasi aurato, in pieno accordo col rosso feccia degli abiti; queste tinte devono essere state considerate fondamentali dall’artista che ha eseguito tali affreschi.[10]

La tecnica degli affreschi in parola, particolarmente nelle due figure della Madonna e dell’Angelo, ci portano ad un lasso di tempo successivo a quello bizantino di quasi un secolo. Per certi versi esso appare coevo all’affresco corroso dell’abside maggiore della chiesa del Monastero di S. Filippo di Fragalà in Frazzanò ( ME ); la delineazione delle masse non è più per strisce sintetiche e rudi che disegnano e coloriscono a un tempo, e neanche è geometrica, ma d’una eleganza ieratica e gelida, sfarzosa e astratta al tempo stesso.

L’affresco mostra che l’artista si va staccando con tono animato e pastoso, tanto da delineare e ombreggiare a un tempo, dal rigido arcaismo di profilazione e dalla schematizzazione tagliente, volge verso tendenza di maggiore vitalità espressiva. E’ per questo che il Maganuco osa credelo della fine dell’XI o del principio del XII secolo.

Un prezioso trittico del Museo della Cattedrale di Enna unitamente ad altre tavolette dello stesso Museo e di quello di Castello Ursino di Catania, inducono il Maganuco a considerare gli affreschi della chiesa degli Agathoi in Randazzo assai vicini ad opere di maestri cretesi del sec. XIV.[11] Se volgiamo, infatti, lo sguardo verso il mondo pittorico orientale sentiamo di poter inquadrare gli affreschi predetti in un’epoca che ci porta vicini a quella o di poco posteriore, in cui furono dipinti gli affreschi della chiesa del Peribletos a Mistra, raffiguranti la Divina Liturgia, da maestri di scuola cretese.[12] La ricerca attenta del movimento, la tendenza a dar risalto a determinate masse, specie lineari, non già per contrapposto sfumato ma per isolamento improvviso che tende per contrasto a sbalzare le parti in luce e tutto il c omplesso tecnico e rappresentativo, fanno si che a noi sembri che gli affreschi di Randazzo siano proprio nel lume della corrente da alcuni chiamata cretese e dal Muratoff neo ellenistica del sec. XIV.[13]

La chiesa sorgeva nel “ Piano di Tutti Santi “, così denominato perché lì era stata edificata, in tempo imprecisato, l’omonima chiesetta che, a quanto ho avuto modo di scoprire recentemente, era un tempio ben distinto da quello di cui trattimo. Infatti esaminando l’elenco delle 90 chiese presenti a Randazzo e sul suo territorio, compilato dal Plumari tra il 1834 ed il 1849 ed inserito nel I° volume della sua “ Storia di Randazzo ….”, a pag. 325 del  libro III leggiamo:

41. Chiesa di S. Agata V. e M. esistente nel Piano di Tutti Santi. “ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . “ 49. Chiesa di Tutti Santi, da pochi anni abbandonata, ed oggi demolita. “[14]

E chi meglio dell’Arciprete, studioso e storico delle cose antiche di Randazzo, ancora vivente in quell’epoca, poteva darcene notizia più certa? E’ logico allora chiedersi da dove nasce la confusione che se n’è fatta circa le due chiesette. La spiegazione è semplicissia: abbandonata e successivamente demolita, in quanto fatiscente, la chiesetta di Tutti Santi venne trasferita in quella dedicata a “ S. Agata “ o “ Degli Agathoi “, ciò avvenne anche per altre numerosissime chiese ritenute pericolanti, o in quanto soppresse a seguito delle Leggi eversive sulle corporazioni religiose del 1866 – 1870. Le cappelle di tali chiese, di solito, venivano trasferite in quelle più vicine e appartenenti allo stesso rione. E’ infatti del 1844 un decreto dell’Arcivescovo di Messina Mons. Villadicani che, constatato, durante la Sacra visita a Randazzo, lo stato miserevole in cui trovavasi molte chiese, istituì una Deputazione amministrativa che, appunto, amministrasse  in comune tutti i beni di dette chiese affinché con le somme si restaurassero le più importanti di esse.[15]

Citiamo a questo proposito alcuni esempi: la chiesa di S. Maria di Loreto venne trasferita in quella di S. Silvestro Papa, quella di S. Maria del Soccorso in quella del  SS.mo Hecce Homo, La chiesa di S. Giovanni Battista, a seguito dell’alluvione del 1580, venne unita a quella di S. Maria dell’Itria e così via.[16] La chiesetta da allora viene chiamata “ Tutti Santi “ e questo nome, probabilmente, era dovuto anche al fatto che le pareti all’interno della erano, come abbiamo visto, quasi completamente affrescate con le figure di numerosi  Santi.

Il popolino però soleva indicarla anche col nome di “ Agati “ o “ Agathoi “ che, a quanto sembra, deriverebbe da Agata, la Martire Catanese che, come abbiamo visto, era rappresentata in uno degli affreschi all’interno della chiesetta. Il nome Agati, infatti, potrebbe derivare dalla corruzione di  Agathoi, buoni, beati. Un cognome che dalle nostre parti è largamente diffuso, come anche Santagati. La sua costruzione dovrebbe datare intorno al 1237, se essa era la chiesa di cui parla Rocco Pirri nella sua “ Sicilia Sacra “ – “ Sancta Maria in Memore “.

Un’altra ipotesi potrebbe poi azzardarsi circa la denominazione della chiesetta al suo origine. Come abbiamo visto al centro della parete destra della chiesa ci appare quel Santo paludato e inscritto in un’ampio seggio trilobato color verde, più lussuosamente dipinto che non le figure vicine. Ai fianchi di tale affresco si leggeva pure il suo nome, “ Sanctus bade rius “ e ciò dà a credere che in origine la chiesetta possa essere stata affrescata in suo onore. Il dubbio però sorge dal fatto che sul Martirologio non appare alcun “ San Baderius “, mentre invece un “ Badefritus “  viene martirizzato in Persia attorno al 1247. La nostra rimane pertanto una semplice supposizione non avvalorata da alcun documento probante.

Nulla rimane oggi di questa deliziosa chiesetta, se non la minuta e precisa descrizione che ce ne ha fatto il Prof. Enzo Maganuco, unitamente alle poche foto che lo stesso eseguì, prima della guerra, quando la visitò.

Di essa sappiamo anche che fu sede di una delle più antiche confraternite allora presenti nella città, (1505) [17] e che, a seguito delle Leggi eversive del 1866 - 1870 contro le corporazioni religiose, passò in proprietà al Comune di Randazzo. Questo nell’anno 1887 la concesse in enfiteusi dietro pagamento di un canone annuo di L. 17, divenendo quindi per molti anni abitazione di contadini e successivamente adibita a fienile[18]; fino a quando scomparve del tutto distrutta dai bombardamenti aerei del Luglio-Agosto del 1943.  

                   

[1]  S. Rizzeri - Le Cento Chiese di Randazzo – Ediz. 2008

[2]  Ben 118 sono quelle di cui parla S. Rizzeri nel testo citato.

[3]  E. Maganuco - Cicli di affreschi medievali a Randazzo....  -  Catania 1956, pag. 10.

[4]  W. Leopold - Sizilianische Bauten Des Mittelaiters in Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia  und    Randazzo. Wasmut - Berlin, 1917, pag. 61.

[5]  S. C. Virzì - Ricordando un insigne studioso – 1984, R.N. n. 8 cop. 

[6]  E. Maganuco - Cicli di  affreschi medievali a Randazzo …Catania 1956, pag. 11.

[7]  E. Maganuco – Esercitazioni di storia dell’arte siciliana.  Catania 1956, Cit. pag. 12 – 13.

[8]  E. Maganuco – Ibidem, pag. 14.

[9]  E. Maganuco  - Cicli di affreschi medievali a Randazzo …. Catania 1956, op. cit. pag. 18.

[10]  E. Maganuco -  Esercitazioni di storia dell’arte siciliana.    Op. cit. pag. 19.

[11]  E. Maganuco - Cicli di affresci medievali a Randazzo …    Catania 1956, op. cit. pagg. 21 – 22.

[12]  S. Bettini - La pittura bizantina.  Pag. 39 – 40. Nemi, Firenze 1937.

[13]  E. Maganuco - Esercitazioni di storia dell’arte siciliana – Catania 1956, Op. cit. pag. 23.

            Muratoff  - La pittura bizantina -  pagg. 139 – 144 e segg.

[14]  G. Plumari ed Emmanuele - Storia di Randazzo. . .  1849, Vol. I, Libre III pag. 325.

[15]  S. Rizzeri - Le Confraternite in Randazzo - 2002, Manoscritto inedito.

[16]  S. Rizzeri  - Le Cento Chiese di Randazzo –  Catania 2008.

[17]  S. Rizzeri  - Le Confraternite in Randazzo – Ms. inedito pag. 3.

[18]  G. Fisauli - Notizie storiche sulle chiese parrocchiali di Randazzo. Archivio di famiglia.