Le Chiese di Randazzo

Le Chiese di Randazzo

LE  CHIESE DI RANDAZZO

Dal Volume di S. Rizzeri, "Le Cento Chiese di Randazzo ......." )

La passione e l'amore per tutto ciò che riguarda la storia, l'arte e l'architettura della mia città, mi ha indotto da anni ad una ricerca frenetica ed attenta di tutto quanto potesse aprire nuovi orizzonti alle mie conoscenze in questo campo. Da quì la necessità di poter disporre di documenti e testi che mi aiutassero a capire, oltre che conoscere, fatti, avvenimenti e personaggi che hanno caratterizzato nei secoli passati la storia della nostra città. Ricerca non sempre facile, anche in considerazione del fatto che molto materiale è andato distrutto a seguito degli eventi bellici che interessarono la città nei mesi di Luglio ed Agosto di quel nefasto 1943. Ed è solo grazie all'opera e agli scritti di personaggi quali Francesco Onorato Colonna dei duchi di Cesarò, il monaco cappuccino Padre Luigi Magro, il compianto Padre Salesiano Don Salvatore Calogero Virzì, L’Avv. Gualtiero Fisauli, ma soprattutto del Canonico Don Giuseppe Plumari ed Emmanuele, ed altri ancora, se oggi conosciamo gran parte della storia della città di Randazzo. Leggendo queste opere notavo una caratteristica comune a tutti: prima o poi il discorso portava questi autori a parlare di qualche Chiesa o di qualche Monastero della città che aveva avuto attinenza con fatti o avvenimenti storici da loro trattati. Questa caratteristica particolare ha risvegliato in me un certo interesse e poichè numerose erano queste citazioni, decisi di farne uno studio completo ed appropriato.

Le difficoltà sono state enormi, specie nella fase iniziale, in quanto non esisteva alcun supporto storico in tal senso. Don Virzì cita più volte nelle sue opere il Canonico Don Giuseppe Plumari che afferma nei suoi manoscritti della presenza a Randazzo e nel suo territorio di ben 99 Chiese. Ma ne l'uno ne l'altro ne danno un elenco completo. Se a ciò si aggiunge il fatto che la maggior parte di documenti e manoscritti, un tempo conservati anche presso gli archivi privati delle nobili famiglie della città, sono andati quasi completamente distrutti dagli eventi bellici che hanno interessato il paese nei mesi di Luglio-Agosto 1943, si capisce bene a quali difficoltà sono andato incontro.

Ebbene dopo questo lavoro costatomi oltre un anno di ricerche, ci renderemo conto di come tale cifra fosse notevolmente inferiore alla realtà. Ben 107 sono quelle di cui sono riuscito a trovare notizie, se poi a queste aggiungiamo le quattro Chiesette appartenenti ad altrettanti piccoli conventi della città, aboliti già prima della promulgazione della famosa Legge del 1866, relativa alla soppressione di numerose congregazioni religise, nonchè le sette Chiese dei cenobi monastici ricadenti sotto la giurisdizione del Monastero Basiliano di S. Filippo di Demena, anch'esso nel territorio di Randazzo, raggiungiamo la bella cifra di ben 118 Chiese. Il sito ne tratterà solamente alcune tra le più importanti.

La Basilica di Santa Maria

Salvatore Rizzeri

CENNI STORICI SULLA EDIFICAZIONE E TRASFORMAZIONE DELLA BASILICA DI S. MARIA 

( Sec. XIII-XVI-XVIII-XIX )

 

Le Persecuzioni che i Cristiani dovettero subire nei primi tre secoli dopo la venuta di Gesù Cristo costrinsero i fedeli di questa nuova religione ad esercitarne il culto in luoghi appartati e sconosciuti all’ordine costituito che la riteneva fuori Legge. ( la Sicilia era allora una ricca provincia dell’immenso impero romano ). Motivo per cui anche gli abitanti di fede cattolica del villaggio di quella che divenne poi Randazzo, solevano riunirsi di nascosto per pregare in una grotta che sorgeva nei pressi del luogo ove circa dieci secoli dopo venne edificata l’attuale Basilica di Santa Maria Assunta. 

Nel luogo ove sorge la Chiesa si venerava l’immagine della Madonna del Pileri ritrovata all’interno di questa grotta da un pastorello. La Vergine, secondo la leggenda, avrebbe anche salvato il piccolo villaggio da una tremenda eruzione dell’Etna avvenuta nel III Sec. d. C. (Il Plumari parla di un’eruzione avvenuta il 1° Aprile del 254 d.C. ?). Le uniche eruzioni che apportarono grandi devastazioni al territorio, di cui si ha certezza, sono quelle del 1536 - 1614 - 1624 - 1981. L’edificio primitivo della Chiesa era costituito da una piccola cappella in legno edificata dai fedeli sul luogo esatto del ritrovamento dell’immagine. Quella grotta che era stata spettatrice del miracolo della “ Madonna del Pileri [1]

A questa, in un secondo tempo, fu sostituita una chiesetta in muratura ad una sola navata sorta sull’antica grotta, in cui si trovava l’altare ornato dall’immagine miracolosa della Madonna. Il suo orientamento non era conforme a quello dell’attuale Chiesa, ma andava da Nord a Sud, come possiamo dedurre dalla anomala posizione dell’Altare Maggiore su cui campeggiava il famoso affresco del sec. X che, come ci avverte la lapide riportata, fino alla fine dell’ottocento era collocato nel secondo intercolunnio della navata di sinistra entrando dall’attuale Chiesa[2].

La costruzione attuale risale al periodo che va dal 1217 al 1239 come ci afferma una epigrafe a caratteri gotici scolpita nella base di un pilastro della chiesa sotto la sacrestia. L’originario campanile è certamente opera di un “ MAGISTER TIGNOSUS “, nome che appare in un’epigrafe in pietra arenaria, andata dispersa, ma ben rappresentata in uno dei rilievi eseguiti  dall’Arch. Sebastiano Ittar  tra il 1843 e il 1845, allorché eseguì due successivi progetti per il rifacimento della facciata e del vetusto campanile[3]. Altri due elementari disegni del vecchio campanile vennero eseguiti dal capomastro Cristofaro Vanaria, che trovasi presso l’Archivio della chiesa, l’altro del Canonico Don G. Plumari inserito nel manoscritto della sua “Storia di Randazzo . . . . . “ Lo stile è Normanno-svevo con forti influssi dell’arte gotica.

Esterno:

La sua struttura muraria è in conci squadrati di basalto in cui, ad arte, sono state eliminate nelle connessure le tracce di malta. Manomessa dai numerosi restauri o per rifacimenti improntati a criteri stilistici diversi, mostra, nelle condizioni attuali, come parti originarie:

  • la cortina muraria di nord e di sud;
  • le tre poderose absidi di cui abbiamo già precedentemente detto.

A questo punto è necessario fare una considerazione di carattere generale: 

  • Della prima costruzione dugentesca non esistono documenti di sorta;
  • Della costruzione cinquecentesca abbiamo solo quel poco che gli eventi bellici, l’umidità, il vandalismo, ci hanno risparmitato. Purtroppo i volumi dell’Archivio della chiesa che riguardano il cinquecento sono illegibili per le condizioni in cui si trovano; siamo quindi obbligati a fare appello alle pochissime notizie che la tradizione e gli storici locali ci hanno tramandato, oltre alle considerazioni personali che l’attuale costruzione ci consente di fare.

 

L’aver lasciato nella nuova costruzione del 1217 l’altare in tale posizione è un elemento probativo non solo del valore della leggenda, ma anche del fatto che ci rivela, in parte, i passi successivi che la costruzione fece in questi secoli di silenzio assoluto dei documenti. E’ così la chiesetta ad una navatella doveva avere la sua facciata verso l’attuale Corso Umberto con l’absidiola rivolta alle sponde del fiume Alcantara. 

L’EPIGRAFE DELLA CHIESA DI SANTA MARIA

La costruzione del sec. XIII è uno dei monumenti più insigni del periodo svevo e l'unico documento che ci parla della costruzione della Chiesa è l'epigrafe a caratteri gotici scolpita nella base di un pilastro della Chiesa sotto la Sacrestia.

 

Essa è compilata in un latino di difficile interpretazione, anche perchè alterato nel testo dagli errori del lapicida e consta di due parti: la inferiore che si riferisce al compimento dei lavori della costruzione del tempio ( anno 1239 ), e la superiore che riguarda l'inizio di essi ( anno 1217 ).[4]

Il Di Marzo, il Buscemi, il Plumari, il Leopold, l'Orsi che ne fece anche un calco, vi hanno studiato sopra e non si sono trovati tutti d'accordo nell'interpretazione dei passi poco chiari. Le maggiori divergenze riguardano la data e soprattutto quel " Leo Culmine " che per alcuni è il nome del mitico architetto leggendolo " Leo Cumier " e per altri invece indicherebbe lo scudo marmoreo che adorna la fiancata di mezzogiorno della Chiesa.[5]

Il Di Marzo è della seconda opinione e a leggere attentamente la lapide, tenendo conto di tutti i segni di abbreviazione e di tutte le irregolarità delle lettere analizzate, a parere di Don Virzì, ha piena ragione nonostante l'opinione contraria del Leopold che ci dà una trascrizione fedele in lettere gotiche della lapide.[6]

Unico intoppo che ha fatto sorgere tale divergenza è una malaugurata abrasione proprio sulla parola in discussione. Il Leopold fà osservare che è errata tale interpretazione giacchè lo scudo bianco con il leone di Randazzo risale appena al tempo del rifacimento della Chiesa, mentre la lapide sembra originaria.

L'opinione moderna è incline a questa interpretazione e vede il " Leo Cumier " l'architetto costruttore, di origine evidentemente normanna o al più lombarda, che ci ha dato questa splendida costruzione architettonica.

Questi i testi delle due iscrizioni, la più antica è quella indicata col n. 1, la seconda per ordine di posto, ed è questa che presenta le maggiori difficoltà interpretative.

2^ Iscrizione

A.D. M. CC. XXX. VIIII

 ACTUM. E. H. OP.

1^ Iscrizione:

 

+ M. DUCETA. DECE. qQ. SEPTENA. THEMPA. P. GENITU.

SAE. D. VGINI. VBUM. COSTRUIT. TECTI. LAPIDU.

SUBNIXA. COLUMNS. VIGINI. H. AVLA. BIS.

SENIS. ARTE. POLITIS. ARCUBUS. ILLUSTRAT. LEO.

CUMIER. ARTS. H. OP. EGGIU. X. VENERABILE. TEMPLU.

 

Il Di Marzo ed il Buscemi, nello studio che ne fecero, la ridussero in esametri dandone la seguente interpretazione:

2^

MILLA DUCENTA DECEM QUOQUE ET SEPTENA FLUEBANT

TEMPORA POST GENITUM SANCTA DE VIRGINE VERBUM

CONSTRUITUR TECTIS LAPIDUM SUBNIXA COLUMNIS

VIRGINIS HAEC AULA BIS SENIS ARTE POLITIS

ARCUBUS ILLUSTRAT LEO CULMINE ARTE MIRANDA

HOC OPUS EGREGIUM CHRISTI VENRABILE TEMPLUM.

 1^

ANNO DOMINI M.CC.XXX.VIIII.

ACTUM EST OC OPUS.

 

L'iscrizione sopra riportata è preziosissima perché, oltre ad indicarci i termini di tempo della costruzione, ci fornisce in sintesi gli elementi costruttivi di essa. Era tutta di pietra squadrata comprese le volte, probabilmente costolonate, che poggiavano su sei archi sostenuti da colonne " opera di gran pregio ", specifica l'epigrafe, e lavorati con " arte miranda ". Purtroppo la vecchia costruzione andò alterata lungo i secoli, e solo quanto ci rivela la sopracitata iscrizione e gli elementi che ancora possiamo rilevare dalle strutture esterne, ci fanno constatare che tutta questa costruzione si inseriva in quella corrente del gotico federiciano che, avvalendosi degli elementi portati in Sicilia dai Cluniacensi e dai Cistencensi, ci seppe dare quei monumenti che sono una gloriosa pagina della storia dell'arte siciliana.

Nell’anno del Signore 1239 questa opera fu portata a termine

 

Nel lasso di tempo del 1217 dopo la nascita dalla Vergine Maria

del Verbo, fu costruito questo edificio coperto da volte in pietra sopra

archi sostenuti da dodici colonne lavorate con arte esemplare.

Un leone collocato sopra la parte terminale orna con arte questa

opera egregia, tempio venerabile di Cristo.[7]

 

Mille duecento dieci ed anche una settina d’anni dopo la nascita dalla Vergine del Verbo Unigenito, viene costruita la Chiesa della Santa Vergine appoggiata con gli archi del triplice tetto a doppia serie (12) di sei colonne di pietra egregiamente lavorate. Leone Cumier illustra questo venerabile Tempio cristiano.[8]

La storia artistica del complesso architettonico della chiesa non è semplice, sorta come tempio della " Madonna delPileri ", alla fine del secolo XVI subì la prima trasformazione grazie alla donazione della Baronessa GIOVANNELLA DE QUATRIS (  ? - 16.07.1529 ), sposata a Pietro Rizzari, che con atto del 5 Marzo 1506 in Notar Geronimo Crupi da Palermo, dona alla chiesa tutti i suoi averi. La chiesa, grazie a questo immenso patrimonio, viene trasformata ed ingrandita a tre navate a Croce Latina, con colonne monolitiche in pietra basaltica e decorata con stucchi alle pareti. Il progetto è redatto dal grande Arch. Toscano del Senato messinese ANDREACALAMECH ( Carrara 1524 –  Messina 1589 ), allievo del Michelangelesco Bartolomeo Ammannati.  Consegnato nell’anno 1589 stravolge le linee architettoniche originali, e pur non eliminando del tutto l’elemento Siculo-Catalanofa assumere al tempio l’aspetto Rinascimentale di influsso Brunelleschiano (Chiesa di S. Lorenzo e di S. Spirito in Firenze). Tre navate con colonne monolitiche a Croce latina, con Altare Maggiore e stucchi sulle pareti. I lavori vengono ultimati nel 1594, Procuratore della chiesa Sebastiano Cavallaro (una pietra collocata al centro della scalinata del portale di tramontana ne ricordano l’evento).

Con la Chiesa di San Lorenzo li accomuna non solo l’aspetto architettonico dell’interno, ma anche la presenza in entrambe le chiese di due dipinti aventi lo stesso soggetto: Il Martirio di San Lorenzo e l’Annunciazione a Randazzo realizzati, il primo da Onofrio Gabrieli (1616 - 1706), il secondo da Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ), a Firenze intorno al 1465 da Filippo Lippi su commissione di Cosimo de Medici.

Artista eccentrico il Lippi che era un Frate Francescano, quando tra il 1452 e il 1466 si trasferì a Prato per affrescare nel Coro della Cattedrale le storie dei Santi Stefano e Giovanni. Sua modella fu una certa Lucrezia Buti, suora del Convento di Santa Margherita di Prato che divenne la sua amante prima, e moglie dopo che Cosimo de Medici nel 1466 chiese a Papa Pio II di sciogliere i voti ad entrambi.

Altra trasformazione avvenne alla fine del sec. XVIII ad opera di un altro grande Architetto siciliano, il palermitano G. VENANZIO MARVUGLIA (1729 -1814). Viene incaricato della redazione del progetto il 2/05/1787. Lo consegna agli amministratori della chiesa nell’estate del 1789. Assistente ai lavoril’Arch. Basiliano Don Basilio Gullo. I lavori hanno inizio nel 1789 e si completano nel 1805. Quelli per l’innalzamento della Cupola hanno inizio nel 1802, sotto la direzione dell’Ing. Emmanuele Incardona, vengono ultimati nell’anno 1804. La Cupola mal progettata ed eseguita, dà subito problemi ed i continui lavori di riparazione durano dal 1804 al 1820 sotto la direzione dell’Ing. Incardona. Vengono risolti definitivamente col suo rifacimento nel1982 ad opera dell’Impresa  Castorina di Randazzo. (Eliminazione del pesante rivestimento con mattoni di piombo e sostituzione con eleganti e più adeguati “spicchi” in rame saldato, opera eseguita dai Maestri randazzesi F.lli Iapichino). Gli stucchi sono opera di M.° Giuseppe Gianforma di Catania e di M.° Paolo Cimino di Messina, anni 1813 – 1818.Si creò un transetto e, come si è detto, venne innalzata la cupola (1802-1804). Ciò che rimaneva della linea gotica lasciò definitivamente il posto al rifacimento rinascimentale a colonne laviche monolitiche di grandissimo effetto architettonico, il cui nero metallico spicca sul bianco dell'intonaco dando risalto alla solennità delle linee. I lavori hanno termine nel 1805.

Lavori del Sec. XIX - Prospetto e Campanile

I due successivi progetti di SEBASTIANO ITTAR del 1843 e 1844 non piacciono agli Amministratori dell’Opera, in particolare il secondo suscita diverse perplessità, tanto che viene dato incarico ai due Architetti Randazzesi, Ingg. LA PIANA e CALDARERA di farne cosciente valutazione. Le risultanze sono le seguenti:

  • Non ha solidità,
  • Non si confà all’architettura della Chiesa,
  • E’ inesatto lo stato estimativo,
  • Il Campanile non sopporterebbe il peso delle grosse campane esistenti.

Il problema viene risolto dal Real Governo che con missiva del 27/09/1851 incarica del progetto e della direzione dei lavori l’Arch. Siracusano FRANCESCO SAVERIO CAVALLARI. I lavori procedono dal 1852 al 1854, anno in cui il Cavallari abbandona i lavori essendo stato nominato Docente di ingegneria al Politecnico di Milano.Vengono allora incaricati del proseguimento e completamento dei lavori Don FRANCESCO CALDARERA - Ingegnere Capo del Corpo Acque e Strade del Real Governo a Palermo (Randazzo 5 Maggio 1825 – 17 Settembre 1920), cittadino Randazzese, Matematico e Docente presso la Regia Università di Palermo, e l’Arch. Don DOMENICO MARVUGLIA. Tra il 1855 ed il 1863 i lavori, tra alterne vicende anche di ordine legale, vengono portati a termine. Completano la facciata e ricostruiscono il fatiscente campanile, ispirandosi fortunatamente ad esempi normanni della capitale, creando così un complesso architettonico di grande effetto grazie anche alle modanature in calcare di Siracusa, molte delle quali sono originali e appartengono al vecchio campanile diroccato. I capitelli delle finestre sono tutti diversi e riproducono soggetti della flora e della fauna locale.Singolarissimi, come li definisce il Virzì, i portali quattrocenteschi di tramontana e di mezzogiorno, quest'ultimo di sapore catalano-rinascimentale con elementi tardo aragonesi. Ornamento di grande pregio artistico, appartenente a scuola pisana, è la statuetta marmorea della Madonna collocata nella lunetta superiore.

Particolarmente degno di nota è lo stemma marmoreo della città che spicca nella facciata nera di sud-est della chiesa. Il 24 Novembre 1863 gli Ingg. Caldarera e Marvuglia consegnano agli Amministratori dell’Opera le misure finali di tutte le opere eseguite.

 La Sacrestia

Ambiente di grande valore artistico è la Sacrestia della Basilica, essa poggia su un archeggiato a fornici e il luogo ove essa sorge viene a distanza di secoli tutt’ora chiamato dal popolo “ Tribonia “  dal latino “ Tribunal “. Al piano terra della Sacrestia aveva infatti sede il Tribunale Ecclesiastico che a Randazzo operò fino agli inizi del 1800.

Il  30 Gennaio 1671 un terribile uragano abbatté un quinto del muro della Chiesa adiacente la Cappella del “ Volto di San Luca “ e l’intera Sacrestia.

M° Cristoforo Vanariasu disposizione dell’Amministratore dell’Opera si reca a Messina incaricando per la nuova progettazione l’Arch. Pittore e Scultore DOMENICO SCILLA che nel 1672 giunge a Randazzo ed in pochi giorni esegue il progetto dell’attuale Sacrestia su Linee architettoniche tardo-Rinascimentali.

I lavori per la sua costruzione vengono eseguiti tra il 1672 ed il 1679, l’aspetto architettonico ci ricorda per somiglianza quello dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze.

 L'INTERNO DELLA BASILICA 

 

L'interno della Basilica è ricchissimo di opere d'arte di varia natura, ci limiteremo qui a farne una elencazione la più completa possibile, rimandando il lettore ad altre opere che meglio descrivono le loro caratteristiche e la loro interessante storia:

 

 

La Basilica vista da Via “ Sottana “ negli anni ‘30

 

In questa Chiesa, in quanto di rito latino, nell’anno 1088 celebrò messa

Papa Urbano II. ( Il Papa della I^ Crociata – Dio lo vuole )

a) Colonna Monolitica.

1) Misure Aragonesi – Sec. XIV.

Per antica concessione la chiesa godeva il privilegio della conservazione delle misure tipo dei cereali e dei liquidi: il Moggio ( Modium ) per i cereali e l'Orcio per i liquidi, la loro capacità è rispettivamente di litri 22 e litri 9. Sono di pietra, molto pesanti in modo che nessuno potesse asportarle, e vi è scolpito sopra lo stemma aragonese.

2) Ignoto:

Fonte Battesimale – 1565.

E' un pezzo pregevolissimo di scultura in marmo bianco della scuola messinese a forma leggermente ottagonale. 

3)  Francesco Finocchiaro ( Randazzo 15/03/1868 – Taormina 26/04/1947)

Battesimo di Gesù – 1895.

Si tratta della copia di un dipinto del Piatti, esistente nel Duomo di Ferrara eseguita da questo artista randazzese di cui poco sappiamo. Emigrato negli Stati Uniti fece una grossa fortuna e le sue opere furono ben apprezzate. Eseguì anche i ritratti di Eleonora e Theodore Roosevelt, quest’ultimo ancora esposto alla Casa Bianca. Ben introdotto negli ambienti artistici e culturali, godette dell’amicizia del tenore Enrico Caruso, dei direttori del Corriere della Sera Luigi Barzini e Luigi Albertini. 

4)  Onofrio Gabrieli ( 1616 - 1706 ):

Martirio di San Lorenzo.

(Gli elementi chiaroscurali che caratterizzano l’opera si rifanno all’arte e alla pittura

 tipiche di Michelangelo Merisi “Il Caravaggio”).

Stupenda opera che risente degli influssi artistici introdotti dal Caravaggio. Il martire rivolgendosi ai suoi carnefici dice: “sono cotto da questa parte potete girarmi”.

5) Giovanni Van Houmbraken ( sec. XVII ):

Crocifissione – 1656.

La pittura ha le tipiche caratteristiche dell'arte Caravaggesca, i suoi violenti e freddi chiaroscuri le fanno assumere, pertanto, un alto effetto cromatico. A giudizio di illustri maestri d'arte e di critica è tra le migliori tele che possiede la chiesa. 

6) Girolamo Alibrandi ( 1470 - 1524 ):

Salvezza di Randazzo – sec. XVI.

La Madonna è nell'atto di pregare il Signore affinché la lava dell'Etna risparmi Randazzo. Molto bella la visione d'insieme della città come era nel 1500, con le tre cattedrali ed il castello facilmente riconoscibili. 

7) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Sacra Famiglia – 1823.

Dei sei dipinti di questo autore presenti nella chiesa, è artisticamente il meno pregevole. Si tratta certamente di un quadro di bottega eseguito sicuramente dagli allievi del maestro.

8) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

L’Assunzione di Maria Vergine – 1810.

E' uno dei pochi quadri del maestro ad essere stato firmato.  La firma si trova sul piano di una pietra. Nell'urna sotto l'altare si trovano le reliquie del Beato Luigi Rabatà martire randazzese del sec. XV originario di Erice.

In fondo alla navata di destra, nella Cappella del Crocifisso, troviamo altre tre opere d'arte di grande pregio artistico: 

9) G. Domenico Sgarlata – Sec. XVI:

Tomba a mausoleo della Baronessa Giovannella De Quatris – 1564.

L'opera è in pietra basaltica e si trova collocata nella parete destra della Cappella del Crocifisso. Il mezzobusto in marmo bianco è opera del primo ottocento eseguito da uno sconosciuto artista palermitano.

10) Frate Umile da Petralia ( 1601 - 1639 ):

Al secolo Giovanni Pintorno, Fraticello Francescano.

Crocifisso ligneo Sec. XVII.

Si trovava nel Monastero di S. Maria di Gesù, bruciacchiato e mal ridotto dagli eventi bellici, venne restaurato nel 1976 dall'artista randazzese prof. Nunzio Trazzera. Randazzo aveva la fortuna di possederne due dei 33 eseguiti dal fraticello stando in ginoccchio. Quello di S. Nicola venne distrutto dai bombardamenti del Luglio-Agosto 1943 durante il II° conflitto mondiale. 

11) Giovanni Caniglia sec. XVI:

Dormizione, Assunzione ed Incoronazione di Maria V. – 1548.

Pittura ad olio su tavola di pioppo. Si trova allocato nella parete di sinistra della Cappella del Crocifisso, il quadro è datato ( 1548 ) e firmato in basso a sinistra. Si ritiene che questo dipinto abbia ispirato il progettista del carro trionfale della "Vara", che è appunto dello stesso periodo. 

12) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Incoronazione di Maria V. – 1810.

Don Virzì commentando l'opera, in uno dei suoi tanti scritti, afferma che in questa tela " traspare tutto l'amore dell'autore alla grandiosità iconografica e al cromatismo più vario ". 

13) Pietro Vanni ( 1845 - 1905 ):

Madonna col Bambino – 1866.

Collocata sull’Altare maggiore, l’immagine della Madonna è ritratta seduta su un massiccio trono con in braccio il Bambino che sparge con le sue manine un cumulo di rose. 

14) Gaspare Guercio – Sec. XVII:

Altare Maggiore – 1663.

Pregevolissima opera in tarsia del sec. XVII di scuola palermitana in cui concorrono tutti i motivi ornamentali dell’arte barocca. 

15) Ignoto - sec. XIV:

La Pentecoste.

Si tratta di una buona opera del 1400, posta sulla parete di sinistra del Coro è stata eseguita su tavola. Molto singolare la testa che si affaccia sull'angolo sinistro in basso della tela, si tratta forse del volto dell'autore che ha voluto immortalarsi ! Oppure l’immagine del nobile che ha ordinato e pagato l’opera pittorica.

16) Ignoto - sec. XVI:

Ciborio marmoreo – 1593.

Si trova nella Cappella del Santissimo ed è opera appartenente alla scuola messinese.

17) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Annunciazione di Maria Vergine – 1810.

La tela si trova sull'altare del transetto a sinistra. 

18) Giuseppe Velasquez ( 1750 -1827 ):

 

Martirio di S. Andrea – 1820.

Opera di grande pregio artistico per la quale il maestro richiese una somma maggiore di quella pattuita. E' il secondo dei sei quadri eseguiti dall'artista per la chiesa ad essere firmato ( in basso a destra ). 

19) Ignoto - sec. XIII:

Affresco della Madonna del “ Pileri “.

Nel corso dei secoli questo affresco, molto venerato in passato, ha avuto diverse sistemazioni all'interno della chiesa. Dopo l'ultimo restauro avvenuto nel 1962 è stato definitivamente sistemato sulla porta di tramontana nella navata di sinistra. Molto bella ed interessante la storia di quest'opera che viene narrata nel quadretto appeso sotto di essa.

20) Daniele Monteleone:

Martirio di S. Sebastiano – 1614.

Il dipinto di questo bravo artista siracusano risente molto degli influssi e della scuola del Caravaggio.

21)  Onofrio Gabrieli ( 1616 - 1706 ):

Martirio di Sant’Agata – Sec. XVII.

Cresciuto alla scuola pittorica messinese, questo grande artista randazzese, animo inquieto e rivoluzionario, ha lasciato nella sua città natale numerose opere pittoriche.

22) Giuseppe Velasquez ( 1750 - 1827 ):

Martirio dei Santi Filippo e Giacomo – 1820. 

23) Filippo Tancredi ( 1655 – 1725 ):

Affreschi della volta – Sec. XVII.

In origine le scene dipinte erano sicuramente sette, mentre attualmente ne esistono soltanto cinque, essendo state distrutte le altre due in occasione della creazione del transetto e della cupola. 

  1. L’Annunciazione;
  2. La visita a S. Elisabetta;
  3. La presentazione al Tempio di Maria V.
  4. La Purificazione;
  5. La Circoncisione.

24)  Tommaso Spitaleri da Troina ( 1768 )

Vecchi stalli del coro recanti vari misteri marianitrasformati in armadi nel sec. XIX.

25)  M.° Cristofaro Vanaria – M° Gabriele Gigante

Armadio in pesante stile barocco. 

Ci siamo limitati ad elencare solamente parte delle opere d'arte che la Basilica detiene, quelle cioè fruibili al pubblico, ma la chiesa possiede anche un ricchissimo “ Tesoro “ con oggetti sacri in oro, argento e pietre preziose di alto valore artistico. Per ovvi motivi di sicurezza e non disponendo la chiesa di locali idonei, per il momento non viene esposto al pubblico. 

La Basilica possedeva inoltre un grandissimo e meraviglioso Organo costruito a Napoli (1568 – 1574). Era a nove Registri e costò la considerevole somma di Onze 511. Venne successivamente revisionato e risistemato all’interno della Chiesa – dietro l’Altare Maggiore - da Simone Andronico e Figlio. Purtroppo gli eventi bellici che interessarono Randazzo dal 13 Luglio al 13 Agosto 1943 ne causarono l’incendio e la distruzione. (L’unica bomba d’aereo che centrò la Chiesa interessò l’abside centrale proprio dove era collocato l’organo. Fortunatamente si salvò il bellissimo Altare maggiore).

Un ultimo colpo d’occhio alla facciata e allo snello campanile della Basilica, unici nella loro splendente bicromia, ove spiccano, fra l’altro, gli angioletti che fanno da mensola ai fianchi delle due porte laterali e i capitelli del campanile, tutti diversi l’uno dall’altro, e volgiamo subito lo sguardo ad altre meraviglie artistiche meritevoli della nostra attenzione.

 

[1]  G. Plumari:  Storia di Randazzo – Ms. Palermo ( Qq. G. 76 – 77 ) Vol. I pag. 2.

[2]  M. Mandalari: Ricordi di Sicilia – Randazzo. Città di Castello 1902, pag. 104.

[3]  Archivio di Stato di Palermo – Fondo: Ministero e Segreteria di Stato. Ripartimento Lavori Pubblici (1819.1865).

[4]  S. C. Virzì: o.c. pag. 21.

[5]  M. Mandalari - Ricordi di Sicilia: Randazzo - Città di Castello 1902, pag. 194. 

[6]  W. Leopold - Sizilianische Bauten des Mittelaiters in Castrogiovanni, PiazzaArmeria, Nicosia und Randazzo

    Berlin   191, pagg. 53 - 57.

[7] S.C. Virzì: Randazzo Notizie n. 1. Maggio 1982 - Traduzione del testo.

[8] Dalla gran parte dei critici è la traduzione ritenuta più rispondente alla reale volontà del lapidicista.

Santa Maria della Volta

 

 SANTA MARIA DELLA VOLTA

Salvatore Rizzeri

 

 

< . . . . Restaurata verso la metà degli anni 80, si appoggia alla Via degli Archi o degli " Uffici " nel quartiere centrale della citttà, quello Greco. Appartenente al sec. XIV, essa sorse probabilmente a servizio della famiglia Damiani alla cui casa è addossata e di cui porta ancora, su un lato, lo stemma medioevale. Estintasi tale famiglia, fu trasferita, unitamente al palazzetto della medesima, ad una comunità di suore che aveva cura di un orfanotrofio. In un secondo tempo ospitò una confraternita che ne portava il nome e di cui nella Chiesa di S. Maria rimangono i documenti. Tale Confraternita, però, cessò di esistere intorno alla seconda metà del sec. XVIII  e così la chiesetta passò a far parte del patrimonio della Parrocchia di S. Nicola la cui comunità di preti ne curò il culto e ne amministrò i legati.[1] Le notizie che ci forniscono i documenti del tempo ci fanno sapere come essa, privata ormai della cura che ne aveva avuto la confraternita, fu adibita a locale di servizio della suddetta Parrocchia. E' singolare la notizia dataci dai documenti sopraddetti; da essi sappiamo infatti che, quando nel sec. XVIII si innalzò il massiccio campanile di S. Nicolò distrutto dal terremoto del 1693, essa ospitò le maestranze che curarono la fabbrica di detto campanile. Da allora nient'altro sappiamo della sua storia se non che essa continuò ad essere una dipendenza della Chiesa di S. Nicolò. Colpita e gravemente danneggiata dai bombardamenti del Luglio-Agosto 1943, è stata, come si è detto, recentemente restaurata. La Chiesa di S. Maria della Volta è un esemplare architettonico con uno schema tutto suo non facilmente riscontrabile altrove in tutta la Sicilia. Singolare ed unico è il suo schema: è ad un solo vano rettangolare che originariamente, come è nello stile di tali costruzioni, doveva essere ornato, nella parte posteriore, da una absidiola a catino emisferico, ora del tutto scomparsa in seguito alla costruzione di fabbricati addossati ad essa. Ma quello che la distingue, nella sua linea aggraziata, sono il campaniluzzo a vela che la sovrasta e soprattutto la facciata che era originariamente ornata da un semplice rosoncino ad " oculus ", in seguito sostituito da una monofora rettangolare, e da due porte a sesto acuto in conci lavici, ornate da ghiera con mensolina a goccia di puro sapore gotico-siciliano. Schema semplicissimo in se stesso ma che ci offre un esempio architettonico singolarissimo e deliziosamente scenografico, scandito com'è da tre archi acuti degradanti che appartengono, due alle sue porte di diversa altezza e uno, più slanciato, all'imboccatura di Via degli Archi, al cui complesso è intimamente connessa.[2] 

Un elemento caratteristico, unico nel suo genere, è la seconda porticina affiancata alla maggiore. "Strana ed irrazionale" la definisce Don Virzì. Serviva probabilmente a fare entrare in Chiesa i cadaveri degli affiliati alla Confraternita laica  che aveva sede in questa Chiesa. Nel suo interno, come si è detto, recentemente restaurato, non troviamo traccia alcuna di opere di particolare rilievo, sono visibili però alcuni metri quadrati della originaria pavimentazione in mattoni di argilla.  Particolare curioso, in un angolo del locale della Chiesa, vennero custoditi i conci squadrati in pietra lavica, debitamente numerati, e la colonnina tortile salvatasi dai bombardamenti dell'estate del 1943, che servirono poi per la ricostruzione del quarto arco dell'adiacente via.[3]

 

Rispetto alle tante opere d’arte ancora presenti a Randazzo, abbiamo voluto dare maggiore risalto e visibilità a questa deliziosissima chiesetta per far conoscere agli appassionati cultori di tutto ciò che è Arte, l’opera meritoria di un gruppo di persone che disinteressatamente, mossi solo da quell’amore per il bello, per la cultura e consci che l’ulteriore perdita di quanto di artistico i nostri padri ci hanno lasciato equivale alla perdita della memoria, delle tradizioni e della nostra storia, con l’impegno personale e con tanto lavoro hanno realizzato quello che in decenni non era mai stato fatto.

Come si è precedentemente detto la chiesetta, dopo il restauro degli anni 80, era stata utilizzata solamente in occasione delle festività del Ferragosto Randazzese, non quale luogo di preghiera ma per manifestazioni artistiche e culturali.

Grazie all’iniziativa e alla maestria di un piccolo gruppo di volenterosi artigiani e professionisti locali che ne hanno migliorato gli interni, oggi la chiesa torna ad essere luogo di culto e a rivivere gli antichi splendori dei secoli passati. Benedetta dall’Arciprete Vincenzo Calà il 15 dicembre del 2013, è stata aperta al culto in occasione della Novena di Natale dello stesso anno.

Restauro interno, dicevamo, che ha riguardato il ripristino della pavimentazione nell’originale forma in cotto siciliano (Emanuele Pitinzano), la totale messa in opera dell’impianto elettrico e di illuminazione (Raiti Giovanni), la tinteggiatura delle pareti e il restauro dei due portoni di ingresso al tempio (Giovanni Romano); tutte cose eseguite con grande precisione e inaspettata maestria. Ma il vero colpo di genio ha riguardato la ricostruzione dell’altare distrutto dagli eventi bellici dell’estate del 1943 e di cui non esiste alcuna immagine o descrizione.

Il tutto nasce dall’intuitiva idea del Dott. Nuccio Mollica: l’altare ligneo infatti è stato realizzato utilizzando le antiche tavole che componevano la cantoria dell’organo a canne che prima della seconda guerra mondiale si trovava nella vicina chiesa di San Nicola di Bari, posizionato nella navata laterale di destra dove oggi vi è l’alare di Santa Rita.

La cantoria e l’organo vennero distrutti, unitamente a tante altre opere d’arte, durante i devastanti bombardamenti aerei alleati subiti da Randazzo nel Luglio-Agosto del 1943. Le tavole che ora compongono l’altare della chiesa di Santa Maria della Volta, finemente scolpite ad intarsio, vennero fortunatamente raccolte e conservate da mani pietose in un anfratto del grande campanile della chiesa di San Nicola di Bari. Ritrovate dopo 70 anni ritornano all’ammirazione della gente sotto diversa veste, fanno parte ora dell’originale e bellissimo altare della chiesetta della Volta.

Alla sua realizzazione e messa in opera, oltre al Dott. Nuccio Mollica, ha contribuito la Dott.ssa Rita Santamaria che ha curato il ripristino degli altorilievi con l’aiuto dei sigg. Giovanni Romano ed Emanuele Pitinzano. E’questo un mirabile esempio di attaccamento alla cultura, alle tradizioni e alle opere d’arte della nostra meravigliosa cittadina che andrebbe imitato da tutti gli appassionati e amanti del bello.

 

 

[1]  S.C. Virzì - Complesso di Via degli Archi e della Chiesa di S. Maria della Volta - R.N.  n. 14,  pag. 20.

[2]  S.C. Virzì - Op. cit.  pag. 20 - 21.

[3]  S. Rizzeri – Le Cento Chiese di Randazzo. Pag. 94 – 95. Gennaio 2008,  Edizioni Artemide..

S. Maria dell'Itria

SANTA MARIA DELL'ITRIA

di

Salvatore Rizzeri

 

Il titolo di MADONNA DELL'ITRIA, come scrive il Prof. Santi Correnti a pag. 32  della sua opera " Saggi Siciliani di storia e di letteratura " è un'abbreviazione dell'antichissimo titolo Bizantino di " ODEGITRIA od ODIGITRIA " che, gli Imperatori di Costantinopoli, diedero alla Madonna come - guida nel cammino della vita -  che in italiano potrebbe tradursi come: " Madonna del Buon Cammino ". Questo culto religioso della Madonna, prosegue il Prof. Correnti, è tipicamente Bizantino e questa speciale devozione alla Madonna Odegitria ( o più brevemente dell'Itria ) si diffuse in tutti i territori sottoposti ai Bizantini. In Calabria, a San Basile ( Cosenza ), esiste ancora un Santuario mariano dedicato alla Madonna Odegitria, in cui la Vergine appare vestita come un'Imperatrice Bizantina, con ricchissima collana e diadema regale; in Puglia, nella cripta della Cattedrale di Bari, si venera ancora una immagine della Madonna Odegitria, che si vuole sia quella originaria, venerata nella Chiesa degli Odeghi di Costantinopoli, e trasportata in Italia nel secolo VIII°, durante la persecuzioni degli Iconoclasti, da due Monaci Basiliani. In Sicilia.  Il culto religioso della Madonna dell'Itria divenne assai diffuso, tanto che a Patti ( ME ) la Chiesa dedicata alla Madonna Odegitria, viene ancora chiamata - Santa Maria dei Greci -. Altre chiese esistono in parecchi centri religiosi della Sicilia, come a Piana degli Albanesi, ad Acireale e perfino a Roma, dove costituitasi nel settembre del 1593 la Confraternita Siciliana intitolata a Santa Maria dell'Itria, ebbe dal Papa Clemente VIII°, in data 5 febbraio 1594, l'autorizzazione a costruire una Chiesa e un'Ospedale su una vasta area edificabile  donata alla confraternita dal Siciliano Matteo Catalani, divenendo , una volta edificata, la " Chiesa Nazionale dei Siciliani in Roma ". [1] Anche nel territorio di Randazzo è ormai certa la presenza dell'elemento Bizantino. In contrada " S. Anastasia " doveva infatti sorgere un centro Bizantino che ci viene confermato non solo dal ritrovamento di numerosi  reperti archeologici conservati nel Museo Vagliasindi, ma anche da tre vistose costruzioni che, come si è precedentemente detto, ( Cap. 1° ), con parola Araba le locali popolazioni chiamano " CUBE ". A Randazzo ne esistono tre: La Cuba di Sant'Anastasia, La Cuba dell'Acquafredda, e quella di Jannazzo. Esse rappresentano la testimanianza di come dovette colà fiorire un centro Bizantino fino alle incursioni Barbaresche e fino alla invasione Araba, tempo in cui la popolazione cercò asilo più sicuro sulle balze dell'Alcantara, luogo su cui sorge l'attuale Città. Il sito in cui si trova Randazzo si sarebbe prestato perfettamente ai requisiti di sicurezza. Esso infatti era difeso da due fiumi: dall'attuale Alcantara e dal così detto " Fiume Piccolo " che fino al 1536 circondava Randazzo dalla parte di mezzogiorno, passando per il Piano di Tutti-Santi.

Era inoltre difeso a ponente non solo dall'imponente ciglione lavico su cui sorge l'attuale Castello, ma soprattutto da una vasta palude di cui è residuo il cosiddetto " Gorgo della legname ", che fu cancellata assieme al fiume Piccolo dalla violenta e catastrofica colata lavica che il 23 Maggio 1536 ricoprì e distrusse la contrada più bella e fertile di Randazzo, la pianura dell' " Annunziata ". Su queste posizioni, naturalmente fortificate, avrebbe trovato pace e sicurezza la popolazione proveniente dal medio corso dell'Alcantara. Randazzo fu successivamente cinta di mura, che migliorarono ed accrebbero notevolmente le sue possibilità di difesa; ma il crescere della popolazione e l'espandersi della città obbligarono parte degli abitanti ad edificare nuovi quartieri al di fuori delle mura di cinta. Sorsero così nuclei di case nell'attuale quartiere di San Vito, a Tutti-Santi, ed altre ancora nei pressi dell'ormai scomparso Convento dei Carmelitani. Ma senza ombra di dubbio il quartiere più  importante che venne edificato al di fuori della cinta  muraria, fu quello di   " SANTA MARIA DELL'ITRIA ". Esso sorgeva a nord della città, nel vallone all'interno del quale scorrono il torrente Annunziata ed il fiume Alcantara. Si snodava lungo le balze del fiume dall'attuale Via Pozzo, all'altezza del colle del Monastero dei Padri Cappuccini, fino al vecchio ponte sull'Alcantara, nella zona prospiciente " Porta Pugliese ", per poi estendersi ed allargarsi nella " Timpa di San Giovanni ". La sua importanza deriva dal fatto che esso era il quartiere commerciale ed industriale della città, in questo favorito anche dal fatto che veniva attraversato dalla cosiddetta " Via dei Monti ", unica strada sicura usata dalle carovane di mercanti che, per sfuggire agli assalti dei pirati barbareschi lungo le coste, la usavano per spostarsi da Messina e dalla costra Jonica verso l'interno della Sicilia fino a Palermo. Il suo nome dovuto oltre che alla devozione per la Madonna " Odegitria ", il cui culto religioso era allora il più diffuso della Sicilia e accomunava veramente tutti i Siciliani, ma anche e soprattutto perchè in detto quartiere venne edificata la chiesetta di cui trattiamo, evidenziata anche al n. 26 della pianta litografica della città, nell'ingenuo disegno che ne fece il canonico storico Randazzese Don Giuseppe Plumari ed Emmanuele ( 1770 - 1851 ). Tale Chiesa era un tempo Parrocchia che amministrava i Sacramenti agli abitanti del quartiere di cui si è detto, e che veniva più comunemente chiamato dei " Conciariotti ", proprio per la presenza di numerose concerie. Era inoltre sede dell'omonima Confraternita, una delle più importanti della Città. Edificata tra il XIV ed il XV secolo, ebbe vita prospera per diversi decenni fino a quando, a seguito della disastrosa alluvione del 1682, non subì gravissimi danni. "... La tempesta trascinò via l'intero quartiere dell'Itria, distrusse il ponte sull'Alcantara, la Chiesa di San Giovanni il vicino molino e interrò la Fontana Grande, lasciando la città priva di acqua..." [2]  A seguito di questa catastrofe la cappella della Chiesa di San Giovanni, ormai distrutta, venne traslata in questa Chiesa, che da allora ne prese il nome. Negli anni successivi la Chiesa perse quell'importanza che aveva caratterizzato la sua vita fino all'evento disastroso di cui si è detto. Non più sorretta dagli aiuti degli abitanti del quartiere, ormai distrutto, venne successivamente sconsacrata ed alienata a privati che la adibirono agli usi più disparati. Era infatti proprietà del sig. Paolo Caldarera quando nel Luglio del 1943 venne centrata da diverse bombe d'aereo che la ridussero in macerie. Di essa rimangono solo alcuni pezzi sparsi quà e là dei muri perimetrali, la cripta che sorgeva al centro della Chiesa sicuramente destinata a sepoltura, nonchè i resti di un deturpato affresco incorniciato all'interno di un archetto a tutto sesto in pietra arenaria, in cui a stento distinguiamo l'immagine del Cristo, della Vergine col bambino attorniati da Angeli, e alla base dell'affresco anime del Purgatorio che bruciano nel fuoco eterno.[3] La confraternita che da essa prendeva il nome, solennizzava come feste proprie quella di San Biagio, ( 3 febbraio ), quella di Santa Maria dell'Itria, ( terzo giorno dopo Pentecoste ), quella di S. Aloi  ( S. Eligio,  25 giugno ), ed infine quella dell'Immacolata ( 8 dicembre ). Tanti giorni prima si iniziavano i preparativi: si comprava la cera grezza con cui uno dei confrati  modellava i grossi ceroni che servivano per la luminaria e la processione; si acquistava il cotone ed il fiocco che veniva benedetto e poi distribuito, il giorno della festa, ai fedeli che lo portavano a casa come reliquia. Si pensava inoltre all'addobbo della Chiesa: vi era un Sacerdote ( il Sac. Domenico Blandini ) che affittava il necessario ( tarì 24 ). Il tamburinaio, seguito da un codazzo di fanciulli, percorreva tutte le strade  della cittadina  e la gente accorreva in massa  alla Chiesa della Confraternita. E poi, il giorno della festa, nello splendore della liturgia del tempo, con musica, tamburi e ciaramelle si portava in processione il Santo. Ma il momento più aspettato era il lancio delle colombe: si acquistavano da sette a otto colombe e più, quando il Santo si ritirava in Chiesa, giunto sulla soglia, da una gabbia opportunamente nascosta, si liberavano le colombe che, spaventate dai mortaretti, prima volteggiavano intorno al Santo e quindi si perdevano nello spazio. Cose semplicissime che fanno forse sorridere noi che siamo più raffinati di gusto, ma che allora si godevano pienamente nella aspettativa consapevole, consacrata della lunga tradizione. Nella festa di S. Biagio, oltre ad offrire, la mattina, ai confrati nella Sacrestia, una piccola colazione a base di biscotti acquistati nel Monastero di San Bartolomeo, che aveva allora l'esclusiva, la sera si distribuiva al popolo " U panuzzu di San Blasi " che veniva consumato con devozione particolare da tutti  i fedeli.

E le spese di tanto sfarzo donde si ricavavano?  E' tanto curioso il mezzo per far denaro e leggendo i documenti un sorriso non può non manifestarsi sulle nostre labbra. Oltre alle raccolte in Chiesa  e per  le strade,  fatte dalla " Commissione ",  preceduta dai tamburinai ( tre nella festa di S. Biagio ), lungo l'anno si ricorreva a varie industrie per raccogliere le somme  necessarie. Leggo sul  registro degli  introiti di detta confraternita  per  il  1696: " Fata raccolta per li manganelli  libera, tarì 20 - elemosina di seta raccolta nelli manganelli, tarì 15 ....... Sorteggio di una porcella il giorno di S. Blasi, tarì 4..... ". Ed ancora nell'introito del 1690 - 1691:  " ..... I confrati vendono una troia a mastro Filippo Perciabosco  per tarì 14 ...."  e nel 1686 - 1687,  " .... mezza troia per tarì 5 .... ". Inoltre  affittano n. 126 capre a Giambattista Saitta per onze 3 e tarì 30 all'anno.[4]

Tutte piccole industrie che assieme alle rendite dei legati che la chiesa possedeva, fornivano, le modeste somme necessarie per l'esercizio del culto esterno della Confraternita. Sono costumi pieni di suggestiva semplicità che ci aprono uno squarcio di quel passato glorioso della città dalle oltre cento Chiese, in gran parte centro dell'attività religiosa delle numerose Confraternite, che con le loro numerose feste caratterizzavano il costume di questa singolare e gloriosa cittadina " dalle molte vite " [5]

 

 

Ruderi della chiesa di S. Maria dell’Itria

 

[1]  Santi Correnti - Saggi Siciliani di storia e di letteratura - Ed. Greco, Catania 1978 Op. cit.  pag. 32 - 33. 

[2]  S. Calogero Virzì - La Chiesa di Santa Maria di Randazzo - a cura dell'Amm.ne Comunale di Randazzo, 1984 ,  op. cit. pag. 69.

[3]  S. Rizzeri - Randazzo e la sua storia - " Un quartiere scomparso: Santa Maria dell'Iria ". Da Randazzo notizie n. 29,  pag. 12 -13,  maggio 1989.

[4]  A.C.S.M. - Documenti della Confraternita di S. Maria dell'Itria.                                                                      

[5]  Fisauli Gualtiero - Notizie storiche sulle Chiese parrocchiali di Randazzo. Ms. presso archivio della famiglia.

 
 

 

La Chiesa del SS. Salvatore della Placa

Salvatore Rizzeri

CHIESA DEL SS. SALVATORE DELLA PLACA

                                                                                                             

 

L'immane catastrofe seguita al terremoto del 1693 che sconvolse paesi e città della Sicilia Orientale, determinò fra l'altro la completa distruzione dell'antico Monastero Basiliano fondato da San Cremete, che sorgeva sul roccione della " Batiazza " nei pressi di Francavilla di Sicilia.

Dopo un peregrinare di quasi trent'anni dalla catastrofe tra le comunità di Francavilla prima, e di Castiglione poi, su consiglio delle monache Benedettine di Randazzo di cui era confessore straordinario l'allora Abate Padre Gregorio Sanfilippo, decise di trasferire la sua comunità in tale città, dove acquistato il terreno in località " Rocca " su una collina a mezzogiorno dell'abitato entro le mura di cinta, iniziò la costruzione del Monastero e della relativa Chiesa.[1] Questa fu iniziata a costruire nell'anno 1760 su disegno del grande architetto catanese G. B. Vaccarini, che era fra l'altro Abate commendatario del Monastero.[2] La lapide collocata sulla porta centrale di essa ci ricorda tale avvenimento e l'anno di inizio dei lavori che si protrassero per oltre un sessantennio.[3]

A causa della mancanza di fondi la Chiesa rimase incompleta, e lo è tutt'ora il campanile, di cui si possono ancora vedere i grossi mascheroni e le pesanti modanature in pietra lavica collocati alla rinfusa in Via Collegio, alla base della torre campanaria.

La sua erezione presentò particolari difficoltà, tanto che il progetto, già in parte realizzato, risultò piccolo ed insufficiente, per cui si diroccarono le opere già fatte e si realizzò un'altra costruzione su disegno del grande architetto palermitano G. Venanzio Marvuglia, in quegli anni a Randazzo per progettare la cupola della Basilica di Santa Maria ( 1788 ). Altri architetti di chiara e oscura fama che concorsero alla sua sofferta costruzione furono il palermitano Nicolò Palma ( 1777 ), un Emmanuele Incardona, il Domenicano Messinese Vetrani, un certo Nicolò Aiuto, un  Pietro Campo,[4] finchè  l'impresario della

 cupola di Santa Maria, il palermitano mastro Domenico Lena, alle dipendenze dell'assistente ai lavori Don Basilio Gullo, diretti dall'Architetto Campo, in un momento di stasi dei lavori della cupola, approntato il disegno, portarono a termine i lavori di costruzione agli inizi del 1793.[5] La Chiesa, la cui facciata è tutta in pietra lavica, denota già le prime linee neoclassiche caratteristiche del settecento. Nel disegno ha infatti un riscontro quasi identico con la Chiesa di S. Francesco di Sales a Palermo, perfino nelle ornamentazioni a stucchi su sfondo celeste, di palese derivazione della maniera degli stucchi di S. Martino delle Scale, del Palazzo Riso a Geraci, dell'Orto Botanico di Palermo. Venne dedicata al SS. Salvatore della Placa, dal nome del luogo di origine del vecchio Convento Basiliano.

Come ci informa Don Virzì e una nota della " Giuliana " della  Chiesa di San Pietro, grande fu la festa in occasione della sua inaugurazione, con grande intervento di autorità civili e religiose. La lapide commemorativa della costruzione posta sulla porta centrale della parte interna, porta incisa la seguente epigrafe:

D.O.M.

TEMPLUM

ADIECTUMQUE BASILIENSE COENOBIUM

DEO O.M. SALVATORI SACRUM

ET IN PLAGAE RUPE

A ROGERIO COMITE RESTITUTUM

ET BONIS AUCTUM

FERDINANDUS VI UTRIUSQUE SICILIAE REX

VETUSTATE COLLAPSUM HUC TRANSFRETAVIT

EXCITAVITQUE

ANNO M.DCC.LX. 

La Chiesa nel suo interno è caratterizzata da un sobrio neoclassico, bello ed armonico, se si escludono i due altari gotici costruiti posteriormente ( 1920 ) e dedicati, l'uno al Sacro Cuore di Gesù, l'altro a Maria Ausiliatrice. Gli altari laterali sono chiusi in Cappelle ornate di tele di un certo valore artistico. ( Tali altari più di recente sono stati eliminati ).

Ne riportiamo quì l'elenco: 

  • Giuseppe Patania:

       La Trasfigurazione - sec. XIX.

" Se è del Patania questo quadro non è tra i suoi migliori; pecca nel disegno e ci rivela  una mano inesperta nel tratteggio delle figure. Esso appartiene probabilmente alla   prima maniera del maestro, in questo quadro dominato dall'influsso arcadico settecentesco e da un colore soffuso ed evanescente, tanto che purtroppo è stato sbiadito dalla azione della luce, specie nella parte superiore ". [6]

  • Giuseppe Patania:

      San Basilio Magno - sec. XIX.

E' il più bel quadro che possieda la Chiesa. " In esso, accanto ai tratti solennemente ieratici del Santo, riprodotto nell'atto di insegnare ai suoi figli la Regola, bisogna notare le fisionomie dei monaci circostanti che portano in sè delle linee realistiche forse di ritratto. La simbolica quercia, il paesaggio soffuso di tenui colori, i caratteristici gruppi di angeli che sovrastano la scena,  ne  fanno un'opera tipica del settecento o del primo ottocento ".[7] 

        *  Giuseppe La Farina:

        Martirio di Santa Barbara - 1814.

Di questo quadro esiste una copia a Paternò Come afferma Don Virzì, è un'opera di bottega pieno di manchevolezze, dall'accademismo che pervade tutta la scena alla incongruenza ed irrealtà della figura dei due nani  che fanno da littori. Di vero effetto sono le figure del carnefice e il gruppo di donne sedute in primo piano a sinistra. 

  • Giuseppe La Farina:

      Sacra Famiglia - sec. XIX..

E' la riproduzione di un noto quadro del Raffaello, di esso troviamo una copia in una Chiesa di Biancavilla. " Anche questa tela lascia a desiderare per la trascuratezza nel disegno e per il fatto che essa è pervasa da una patina di accademismo, sebbene più temperato che nel precedente. Rimane però sempre un buon quadro che sa interessare col composto e armonico gruppo centrale " [8] 

  • Anonimo:

      Crocifisso ligneo - Sec. XIX.

Opera equilibrata e di buona modellazione.

  • Anonimo:

      Quadretto dell'Addolorata - sec. XIX.

        *   Busto reliquiario in argento e bronzo di Santa Barbara - sec. XVI°.

Don Virzì racconta nei suoi scritti che i Basiliani possedevano l'insigne reliquia della  testa di Santa Barbara. Giunti a Randazzo, dopo la distruzione del monastero della Batiazza, per decreto  dell'Arcivescovo di Messina dovettero cedere metà della reliquia al Comune di Francavilla, che in Santa Barbara ancora onora la sua protettrice.[9]

         *   Busto reliquiario in argento e bronzo di San Cremete Basiliano - Anno 1656 -.

San Cremete fu il padre fondatore del vecchio Convento che sorgeva nei pressi di  Francavilla di Sicilia, contiene il capo del Santo e quando la Chiesa era officiata dai Basiliani era posto sull'altare della Sacra Famiglia. Attualmente è custodito nella Basilica di Santa Maria Assunta di Randazzo. La festa veniva celebrata in occasione della ricorrenza della Trasfigurazione. Il reliquiario è un'opera di fine oreficeria di scuola messinese, sulla base del reliquiario leggiamo: 

" DIFF.ris GENERALIS O.S.B. MAGNI ANNO DOMINI 1656 D. PETRUS PAULUS MUNGO ABBAS MAGNI MONASTERII SS. SALVATORIS MESSANAE."

Segue lo stemma.[10]

Anche questo Convento e la Chiesa vennero soppressi a seguito delle Leggi sulle Corporazioni Religiose del 1866. Divenuto proprietà del Comune di Randazzo, su interessamento dell'Arciprete Don Francesco Fisauli, del Sindaco della città B.ne Giuseppe Fisauli, del consigliere provinciale Giuseppe Vagliasindi; assecondati dal primo Vescovo della nuova Diocesi di Acireale, Mons. Gerlando Genuardi e consigliati dal Prefetto di Catania Conte Ottavio Lovel De Maria e dal Comm. Achille Basile, Chiesa e Convento nell'anno 1879 vennero affidati dal Comune ai Padri Salesiani, per fondarvi il tanto desiderato collegio di studi della città, il primo gestito dai Salesiani in Sicilia, che ancora a oltre 130 anni dalla sua fondazione continua nella sua opera di educazione e di insegnamento ai giovani. 

Chi scrive si pregia ed è fiero di essere stato dal 1968 al 1973 allievo di tale Istituto e dei Padri Salesiani che lo gestivano, maestri di vita oltre che di scuola. Ricordo volentieri e con commozione i nomi di tali illustri Professori:  Don Camillo Mascimino, Don Carmelo Cutrufello, Sac. Enrico Russo, Sac. Sebastiano Mondio, Don Salvatore Naselli, Sac. Alessandro Valenzise, Sac. Giuseppe Cammarata, Don Salvatore Calogero Virzì, Sac. Pasquale Ippolito, Sac. Salvatore Sarto, Don Salvatore Politi, Sac. Gaetano Livello, Sac. Prof. Don Santi Di Guardi.

 

[1]  Il Collegio Salesiano S. Basilio di Randazzo nel suo centenario ( 1879 - 1979 ). Tip. Scuola Salesiana del libro di Catania, 30 Ottobre 1979, pagg. 29 - 30.

[2]   S.C. Virzì - La Chiesa di S. Maria di Randazzo - Pag. 29.

[3]   Fichera - Vaccarini e l'architettura del 700 a Catania - Roma 1934 pp. 62 - 69. Registro della costruzione del Convento, ms. presso l'archivio del Collegio, foglio 76.

[4]   Registro:  citato, pp. 78 - 86 ecc.

[5]   Registro: citato, pag. 124.

[6]  S.C. Virzì - Randazzo e le sue Opere d'Arte -  R. N. n. 27  pag. 56.

[7]  S.C. Virzì - Idem - Op. Cit. pag. 57.

[8]  S.C. Virzì - Randazzo e le sue Opere d'Arte -  R. N.  op. cit.  pag. 57.

[9]   Archivio del Collegio Salesiano S. Basilio di Randazzo  - Scritti vari.

[10]  S.C. Virzì - Scritti vari - Archivio del Collegio Salesiano San Basilio Randazzo.