Le Origini di Randazzo
Randazzo e la sua Storia
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- Categoria: Le Origini di Randazzo
- Pubblicato: Sabato, 16 Novembre 2019 21:18
- Scritto da Salvatore Rizzeri
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Salvatore Rizzeri
RANDAZZO E LE SUA STORIA
Secondo lo storico greco Tucidide, la prima colonia greca in Sicilia venne fondata intorno al 750 a.C. da calcidesi guidati da Teocle, i quali – spinti dalla povertà della loro terra – si avventurarono per le acque del Mediterraneo alla ricerca di terre più ricche da coltivare. Sbarcati sulla costa Jonica, nei pressi di Taormina, fondarono la loro prima colonia ( Naxos ), a cui altre ne seguirono da lì a poco in quasi tutta l’isola. La colonizzazione greca della Sicilia non avvenne, però, in modo del tutto pacifico. I Siculi, antichi abitatori dell’isola, reagirono alla sistematica e progressiva occupazione della loro terra.
L’ultimo grande tentativo di riscossa dei Siculi è del quinto secolo, allorchè il Principe Ducezio di Nea sfruttando il vincolo etnico ed il sentimento religioso, caratteristiche queste che univano i Siculi – dopo aver riunito il suo esercito nei pressi dell’antico Santuario dei fratelli “ Palici “ ed aver posto la sua capitale a “ Palike “ ( l’odierna Palagonia ), nel 459 a.C. mosse contro i greci di Siracusa e di Agrigento, cui riuscì a strappare alcuni centri da queste precedentemente sottomessi, come “ Etna-Inessa “, nei pressi di Paternò. Dopo un decennio di successi, però la stella di Ducezio volge al tramonto; battuto sia dagli agrigentini che dai siracusani, dopo aver perso i centri precedentemente conquistati, viene da questi esiliato nel 446 a.C. a Corinto, da dove, però, qualche tempo dopo fugge per ritornare in Sicilia, onde riprendere la lotta contro i colonizzatori greci.
Sbarcato sulla costa tirrenica fonda la colonia di “ Calatte “ presso l’odierna Caronia. Da lì a poco, però, il generoso principe viene a morte; di questo fatto ne approfitta subito Siracusa per sottomettere ed impadronirsi delle città sicule della parte orientale dell’Isola.
Secondo lo storico Diodoro Siculo fu “ Trinakria “ o “ Trinakia “ l’ultima città Sicula a capitolare dinanzi alle preponderanti forze di Siracusa. Situata in località imprecisata nella zona settentrionale dell’Isola, rappresentò l’ultimo caposaldo di resistenza alla penetrazione e colonizzazione greca. Ecco cosa scrive a questo proposito Luigi Pareti: “ Il sopravvento di Siracusa apparve più evidente quando, nel 440 a.C. Ducezio morì di malattia, ed i Siracusani si proposero di rendersi suddite tutte le città sicule, eliminando l’unica di esse che, forte, popolosa e tuttora indipendente, poteva rimettersi a capo di una nuova liberazione: Trinacia. Le forze dei siracusani e dei loro alleati bloccarono quella città, non sorretta da nessun'’ltra, ma gli abitanti si difesero virilmente con la morte di molti. Gli altri, fatti prigionieri, furono venduti come schiavi, mentre Trinacia veniva rasa al suolo e si mandavano a Delfi doni votivi con le spoglie ".
Sarei anch’io del parere già espresso da alcuni storici moderni, che identificarono con la contrada ad est di Randazzo, oggi denominata “ Cittavecchia “, il luogo ove sorgeva l’antico centro siculo. La città si estendeva probabilmente attraverso le balze del fiume Alcantara e la pianura, fino alle “ Cube di Mischi e di Sant’Anastasia “, ove – fra l’altro – il secolo scorso è stata rinvenuta una necropoli. L’antica città, fondata dal Re siculo Trinaco, rimase indipendente alla soggezione greca finchè, come abbiamo già accennato, dopo una tenace resistenza, nel 440 a.C. fu distrutta dai siracusani. Le testimonianze degli storici e dei geografi della Sicilia antica, avvalorate dal ritrovamento di numerosi reperti archeologici, appartenenti a diverse epoche storiche, avvenuto a seguito degli scavi archeologici condotti nel sec. XIX su iniziativa del nobile Paolo Vagliasindi, ci portano ad affermare che nel territorio di Randazzo esistessero senza dubbio, e fin dai secoli più remoti, diversi centri abitati. Secondo l’Arciprete Don Giuseppe Plumari ( 1770 – 1851 ), certamente il più insigne storico locale, Randazzo risulterebbe, invece, dalla unificazione di ben cinque centri. Queste città, distrutte nel periodo delle guerre civili di Roma, sarebbero risorte ad opera dell’Imperatore Ottaviano in quella unica città che sarà poi Randazzo, così denominata a seguito della corruzione del nome originario che – secondo il Plumari – sarebbe stato “ Triracium “, divenuto prima “ Rinacium “, poi “ Ranacium “ ed infine “ Randacium “. Il Plumari – avvalendosi della tradizione persistente nei secoli e raccolta dagli storici locali – ci dà anche i nomi di questi cinque centri: “ Tiracia/Triracia, Triocala, Tissa, Demena, ed Alesa “. Questa teoria è, però, da ritenersi largamente superata dai ritrovamenti archeologici recenti. Se, infatti, grazie ad essi è stato possibile stabilire che diversi centri in epoca remota sorgevano nel territorio di Randazzo, incerti rimangono tuttavia le loro identificazioni e di essi si sono perduti anche i nomi, non essendosi ritrovati documenti epigrafici. Pertanto se nella “ Contrada Santa Anastasia “ ritroviamo reperti archeologici che ci conducono fino all’età Bizantina, è probabile che sulle rovine di “ Triracia “ sia sorta, o si sia sovrapposta, un’altra città che possa essere identificata con “ Tissa “. Gli storici ed i geografi della Sicilia antica mettono nelle vicinanze di Randazzo la città di Tissa; Tolomeo la pone, appunto, sulle falde dell’Etna, mentre Cicerone – pur senza dare alcuna indicazione sulla sua ubicazione – ce ne parla nelle sue orazioni contro Verre in “ De Re Frumentaria “, dove si legge “ A Tissensibus, parva et tenui civitate, et aratoribus laboriosissimis frugalissimisque homnibus, nonne plus lucri nomine eriptur, quam quantum frumentii omnino exaverant ? “. Fra gli storici moderni l’identificazione di Tissa è del Cluverio che, basandosi su altri autori, la colloca nella pianura di Moio o poco sopra, nel “ Feudo di Santa Anastasia “ luogo ove, come abbiamo precedentemente detto, il secolo scorso è stato rinvenuto interessantissimo materiale archeologico dal nobile Paolo Vagliasindi su un fondo di una sua proprietà; prima fortuitamente e poi in due regolari campagne di scavi condotte dal Prof. Antonino Salinas, Direttore del Museo Nazionale di Palermo, negli anni 1889 – 1890. Si tratta di circa duemila oggetti. Appartenenti ad una necropoli che risale al VI secolo a.C. e vanno fino al VII sec. d.C., cioè al tardo periodo Bizantino in Sicilia. Comprendono vasi attici a figure in nero ed in rosso, oggetti in oro, argento e bronzo; monete di varie epoche, vasetti di origine Fenicia, terracotte Siceliote, grandi anfore e sarcofagi in terracotta. Le indiscusse testimonianze che abbiamo sopra esaminato, riguardanti le origini della cittadina, sono pertanto confermate dal fatto sintomatico che essa giace in un territorio zeppo di reperti archeologici che ci fanno risalire addirittura fino al neolitico. I ritrovamenti frequentissimi negli scavi fortuiti delle varie località del suo territorio, come a “ Santa Caterina “, luogo ove il Plumari ritiene dovesse sorgere l’antico centro di “ Triocala “, a “ Donna Bianca “, a “ Mischi ", "all’Acqua Fredda “, a “ Cittavecchia “, in cui – negli anni passati – sono venuti fuori un enorme ammasso di cocci di ogni genere, indubbiamente greci, i ruderi di vecchie Chiese Bizantine e medievali, testimoniano che in questa plaga vi fù nei secoli un centro e centri abitati, in cui le popolazioni lasciarono tracce vistosissime di monumenti di alto valore artistico e documentario.
Delle vicende storiche di Tissa poco o nulla ci riferiscono gli storici; si può tuttavia presupporre che, come tutti i centri Siculi delle pendici dell’Etna, rimasta a lungo non soggiogata dalla conquista greca abbia anch’essa, in seguito, subito l’influsso della politica di espansione iniziata da Gelone. Sorgeva, con molta probabilità, a sei chilometri circa da Randazzo, verso levante, a Nord dell’attuale strada provinciale n. 89 e precisamente tra quest’ultima ed il fiume Alcantara. Qui si estende una bella e fertile pianura, posta tra gli ultimi contrafforti dei Nebrodi e le estreme articolazioni della struttura architettonica dell’Etna, ad un’altezza di 650 metri sul livello del mare, luogo quindi ideale per l’insediamento.
Il paesaggio è simile, per certi versi, a quello dove sorge l’attuale Randazzo: un lastrone di basalto a strapiombo sul fiume Alcantara ai piedi dell’Etna, un’aperta e larga pianura in una vasta area ricca e verdeggiante, montagne gialle ed argillose davanti agli occhi ed il nero della massa vulcanica alle spalle. Esplorando il terreno sono ancora evidenti le tracce di detrito archeologico formatosi, come abbiamo precedentemente detto, a seguito delle due regolari campagne di scavi condotte tra il 1889 ed il 1890; minuzzaglia formatasi dalla rottura di grandi urne funerarie di terracotta che componevano i sarcofagi. I greci, infatti, utilizzavano questo tipo di sepoltura dove mancava la pietra calcarea tenera.
Altro elemento probante dell’insediamento umano ci viene dato dai rilevanti avanzi di costruzioni in muratura chiamate “ Cube “; con tale nome si indicano le antiche Chiese Bizantine a cupola depressa. Nella zona da noi presa in considerazione troviamo ancora i resti di tre di esse, che prendono rispettivamente i nomi di “ Mischi – Jannazzo e Santa Anastasia “; quest’ultimo nome è anzi proprio di origine Bizantina. A contatto con le mura della città, inoltre, fuori dallo spazio riservato all’abitato, nelle colonie greche e nei luoghi ellenizzati, venivano impiantate le necropoli, città dei morti. Tutti questi elementi ci indicano, con certezza, che in quei luoghi ebbe sede una città; si tratta di poterne stabilire il nome, la data di fondazione e di distruzione, la struttura sociale; quesiti a cui cercheremo di dare una risposta la più esauriente possibile, alla luce anche dei sopralluoghi che in questi anni abbiamo effettuato. La mancanza però di un diario degli scavi della necropoli di Santa Anastasia ci impedisce, purtroppo, di poter fare uno studio comparato con altre necropoli della Sicilia.
La descrizione documentata delle due campagne di scavi di cui si è detto, alla luce delle nuove prospettive storiche e di ricerca, avrebbe avuto un’importanza fondamentale, consentendoci di poter dare delle risposte ai tanti quesiti rimasti insoluti. Parte di quei reperti archeologici venuti alla luce ( il numero maggiore degli oggetti rinvenuti fu portato al Museo Nazionale di Palermo ed alcuni di pregio si trovano in quello di Siracusa ), costituiscono oggi il patrimonio del Museo Vagliasindi, di cui fa parte la pregevole Oinochoe. A questo proposito sarebbero auspicabili due iniziative che ritengo di fondamentale importanza:
1) La richiesta, da parte dell’Amministrazione Comunale al Museo Nazionale di Palermo, della restituzione dei reperti archeologici provenienti dagli scavi di “ Contrada S. Anastasia “, che ci risultano essere ammassati ed inutilizzati negli scantinati del Museo di Palermo. Essi troverebbero certamente una collocazione più consona nel Museo Archeologico di Randazzo che, ricordiamo, ha sede in alcune stanze del Castello Svevo.
2) Una ripresa degli scavi, perché eventuali nuovi rinvenimenti possano colmare le lacune che attualmente si hanno sulle origini della città e prima che i soliti tombaroli completino l’opera distruttiva che va avanti ormai da decenni.
Poiché gli oggetti rinvenuti vanno cronologicamente dal periodo Siculo al dominio Bizantino, si deduce che, senza ombra di dubbio, l’insediamento umano in quei luoghi ebbe carattere di continuità dai tempi preistorici fino al periodo precedente alla dominazione Araba in Sicilia.
Con la dominazione bizantina finì la vita di questa città sicula, colonizzata dai Greci, conquistata dai Romani e distrutta sicuramente dagli Arabi. Ci viene in aiuto, a tal proposito, Michele Amari nella sua “ Storia dei Musulmani di Sicilia “.
L’Amari scrive: “ . . . . Khafagia, Emiro di Sicilia dall’anno 862 all’871 d.c., dopo l’ennesimo tentativo di espugnare Taormina, di Rebì primo dell’anno 255 dell’Egira ( dal 17 Febbraio al 18 Marzo ), movea sopra - Tiracia -, com’io leggerei in Ibn Al-Athir, e risponderebbe a quella che poco appresso fu chiamata Randazzo. Non si sa s’ei la espugnasse “.
Senza dubbio, dal momento che gli oggetti rinvenuti nelle tombe di Santa Anastasia vanno inquadrati fino alla dominazione del Romano Impero d’Oriente, i Musulmani dovettero distruggere la città limitrofa alla necropoli, perché i periodi di vita di una città coincidono sempre con quelli della relativa necropoli.
I recenti e ripetuti sopralluoghi da me effettuati, mi inducono a pensare non doversi trattare di un piccolo insediamento, come è stato fin qui descritto; ritengo anzi che ci troviamo di fronte ad una città dalle dimensioni consistenti, che si estendeva per tre o quattro chilometri quadrati, situata in posizione strategica di vitale importanza; nodo stradale obbligatorio per chi – da Messina, Taormina e dai centri della costa Jonica – intendesse raggiungere il centro della Sicilia e quindi Palermo.
L’Emiro Khafagia nell’anno 869 d.C. non avrebbe avuto motivo alcuno per radere al suolo un piccolo ed inerme villaggio, mentre ne aveva molti per distruggere una città libera, forte ed in posizione strategica, che avrebbe potuto procurargli seri guai da un punto di vista militare. Circa il nome dall’antica città, posta tra l’Etna e l’Alcantara, esiste una lunga e fitta serie di ipotesi, qualcuna delle quali è già stata da noi citata nelle precedenti pagine; riferirle sarebbe lungo e tedioso, portandoci solo a costruire un palazzo senza fondamenta, in quanto manca alle argomentazioni dei vari studiosi municipali una pur minima documentazione.
Tuttavia, alla luce dei recenti sopralluoghi e di quanto risulta dagli scritti di quasi tutti gli storici più accreditati, emerge una visione comune a tutte, circa l’ubicazione di Tissa tra l’Alcantara ed i piedi dell’Etna. Di conseguenza, volendo dare una parvenza di realtà alle origini di Randazzo, veramente merita di essere accolta l’ipotesi che la città progenitrice dell’attuale possa essere stata quella distrutta dai Musulmani nell’anno 869 d.C., coincidente con la piccola e frumentaria città di Cicerone. [1]
[1] S. Rizzeri – Le origini di Randazzo – Randazzo Notizie n. 44 – 45, pagg. 7 – 11, anno 1993.