i Moti del 1848 a Randazzo

I Moti del 1848 a Randazzo

Salvatore Rizzeri

GLI ANNI DEL RISORGIMENTO

Randazzo: Società, economia e fatti d’arme

( Chiostro del Palazzo Municipale - 4 Agosto 2011 )

 

In verità non è cosa facile fare un quadro completo della partecipazione della cittadina di Randazzo ai moti rivoluzionari dell’ultimo Risorgimento Italiano in Sicilia, giacché in seguito al terribile disastro dei bombardamenti del 1943, sono andati distrutti tutti i documenti pubblici e privati che potevano, in qualche modo, far luce dettagliata  sugli avvenimenti suddetti. Anche l’Archivio di Stato di Catania conserva ben poco.

Ma per una esatta valutazione degli avvenimenti che ci accingiamo ad esporre, è qui necessario premettere una osservazione di carattere generale.

Un singolare, anzi patologico fenomeno etnico-sociale, ha improntato per secoli la vita del paese. Esso è stato dominato dalla classe più abbiente che riuscì a conservare in esso, fino ai più tardi tempi, un dominio conservatore tale, da fare assurgere il suddetto ceto al rango di casta ermeticamente chiusa e circoscritta. I nobili del tempo, i cosiddetti “ cappelli ”, avevano in mano la cosa pubblica e, in conformità allo spirito conservatore della classe, non potevano né capire, né assecondare le aspirazioni del popolo. Ma fatti accorti dai guai incorsi nel precedente periodo napoleonico e soprattutto dai rivolgimenti del vicino paese di Bronte, dovevano giocare di astuzia e di accortezza, se volevano conservare la libertà di decisione, quando ogni cosa si sarebbe definitivamente calmata, per darsi poi al fortunato vincitore.

Questa politica tennero per tutto il periodo del Risorgimento fino al 1860, quando le nuove generazioni, preparate dall’ambiente e dall’idea liberale, pervase dal fermento di rinnovamento generale, preparate politicamente dai contatti coi docenti e dall’ambiente cittadino in occasione dei loro studi, compresero ed aderirono alle idee rivoluzionarie. Ma non per questo si avvicinarono al popolo: la casta rimase chiusa e i due ceti seguirono le loro strade come due binari che mai si incontrano. L’idea liberale genuina fu manovrata dal ceto nobile ai fini di conservare nel paese e nella nazione i privilegi acquistati da secoli.

Il popolo, dall’altra parte, più che acquistato dall’ideale politico di patria, troppo superiore alla sua mentalità contadina, vedeva nella rivoluzione l’occasione di risolvere i suoi problemi economici: la rivendicazione, contro le autorità locali, dei diritti sui terreni demaniali goduti illegalmente dal ceto abbiente, l’esonero dalle tasse, specialmente da quella sul macinato, contro le autorità centrali.

Una osservazione spontanea, a proposito, sorge dall’esame dei documenti che si trovano nell’Archivio di Stato di Catania che ho dovuto sfogliare per procurarmi le notizie qui esposte: tra le relazioni della polizia randazzese non si trova un documento che parli degli avvenimenti del paese in questo periodo storico di grande importanza. Evidentemente la sicurezza pubblica era in mano ai nobili, i giudici erano nobili e non permettevano che alle autorità centrali arrivassero notizie che avrebbero potuto recar danno a qualcuno di loro: solo elenchi di carcerati, in generale, rei di furtarelli, ingiurie, alterchi e, solo qua e là, filtra qualche notizia che ci dà qualche sprazzo di luce sugli avvenimenti. 

I  MOTI  DEL  1848

La rivoluzione del ’48 ha caratteristiche sue. Non più l’azione serrata della Carboneria, la cui influenza si limita agli avvenimenti precedenti a questa data, ma la maturazione di una coscienza nazionale che si avvia verso l’unità delle popolazioni italiane. Mentre i moti del ’20-21, come afferma il Croce, furono suscitati da elementi tutti vecchi e uomini maturi, giacchè mancavano affatto i giovani, (a Randazzo si ha notizia di ben due “ vendite”, una delle quali aveva sede nello scantinato dell’ancora esistente palazzo Vagliasindi in piazza S. Martino), in questa del ’48 fu la sollevazione in massa del popolo, superando tutti i regionalismi e particolarismi, ferendo a morte la monarchia borbonica, segnando la definitiva rottura di ogni esperimento di intesa con i Borbone e fu la fine del vecchio Regno delle due Sicilie.

Non così a Randazzo: i due binari corrono senza incontrarsi. All’attivo del ceto dominante vi è il fatto di aver dato alla causa della Sicilia e al Governo un degno membro in qualità di Segretario della Camera dei Pari, nella persona del Basiliano Abate Paolo Vagliasindi;  di aver organizzato la resistenza con foglietti stampati clandestinamente in un locale recondito della famiglia Di Francesco che porta ancora impressa nell’architrave  lavica la data 1848; e di aver suscitato un singolare e tipico personaggio in un Don Ruggero Romeo, contro cui esiste nell’Archivio di Stato di Catania una denunzia che lo presenta come Capitano della Guardia Nazionale nel ’48, terrore del popolino di Randazzo, il quale, con uno squadrone di armati, andò a Taormina per combattere l’Esercito Regio e a Giarre, dove, con un tamburo al collo, percorse le strade dell’allora paesetto, gridando e minacciando la fucilazione a tutti coloro che non volessero arruolarsi.

Il basso popolo invece, seguendo il suo iter di rivendicazioni contro i Signori, si diede alla sfrenatezza, a suscitare tafferugli, a perseguire vendette, a perpetrare delitti. Il più efferato fu quello commesso da Salvatore Lo Presti, Giuseppe Russo e compagni, i quali sorpresero un certo Don Gaetano La Piana, del ceto nobile, lo affrontarono malmenandolo e, gettatolo in un profondo fossato, lo finirono a colpi di pietra. Gli autori furono arrestati ma amnistiati in seguito, furono relegati, a domicilio coatto, in Regalbuto con l’interdizione in perpetuo del soggiorno a Randazzo.

Le  notizie sul ’48 in Randazzo si esauriscono qui, se togliamo l’attestato di buona condotta e di encomio di Don Francesco Petrina – Sindaco del tempo – definito “  . . .  l’unico per attitudine e coraggio civile e morale nell’impedire ai tristi il pravo disegno di toccare l’azienda comunale e di turbare la tranquillità delle famiglie “.  Esso ci fa intuire tafferugli più gravi in paese ma di cui purtroppo non ci restano documenti.