La Rivolta di Randazzo del 1969

La Rivolta di Randazzo del 1969

Salvatore Rizzeri

L’ULTIMO SUSSULTO DEL POPOLO RANDAZZESE

( La Rivolta del 1969 )

 

L’assalto al Municipio

Correva l’anno 1969, da poco più di un mese avevo compiuto i 15 anni e iniziavo a frequentare il 2° anno dell’Istituto Tec. Commerciale presso l’Istituto Salesiano San Basilio di Randazzo. Le aule del biennio della Ragioneria, il Ginnasio-Liceo, le Medie e le EIementari erano allora allocate nei vecchi locali settecenteschi dell’Istituto, nella parte più alta della città, “La Rocca”, pertanto io che abitavo il Via Orioles, (quartiere di S. Nicola), per raggiungere la scuola tutte le mattine attraversavo anche Piazza Municipio ove ha sede il Comune di Randazzo, (Ex Convento dei Frati Minori Conventuali). In quella cupa mattina autunnale della fine di ottobre nulla faceva presagire quello che da li a poco  sarebbe successo: infatti oltrepassai Piazza Municipio intorno alle ore otto, (le lezioni iniziavano alle 8,15), ed era tutto tranquillo, come sempre. Prima però di inoltrarci nel vivo del racconto degli avvenimenti di quella giornata bisogna fare un passo indietro, anche per capire i motivi e le cause che determinarono il grave fatto.

Il 22 Novembre del 1964 si erano svolte le elezioni amministrative della città  e il 22 Febbraio del 1965 era stato eletto il nuovo Sindaco nella persona del Dott. Sebastiano Giuffrida. L’elezione del Giuffrida poneva fine all’egemonia dei Sindaci appartenenti alla classe nobiliare della città, i cosiddetti “cappelli”, che da tempo immemorabile aveva esercitato il potere non solo economico ma anche politico del paese. Questo cambio di direzione avrebbe potuto e dovuto rappresentare una svolta nella conduzione della cosa pubblica, per giunta in un periodo di grande espansione economica per l’Italia, invece le beghe interne e le lotte tra fazioni nell’ambito del partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, si risolsero in una serie continua ed ininterrotta di crisi amministrative, con un Consiglio la cui attività, subordinata al prevalere dell’una o dell’altra delle due fazioni, venne completamente esautorato dei suoi poteri. Fatto gravissimo questo che non portò nessun beneficio al paese, costretto ad assistere impotente ad un continuo sfacelo.  

“ . . . . . . . .  Le dimissioni dell’Amministrazione, rassegnate nella seduta consiliare del 16/12/1968, fanno precipitare la situazione. E’ lotta aperta: da quella data la fazione Giuffrida diserta le sedute consiliari, mentre la fazione Montera assicurando il numero legale con la sua presenza in aula, consente, il 22/01/1969, l’elezione di una Giunta minoritaria di sinistra che, reggendosi su 11 voti su un totale di 30 consiglieri, elegge Sindaco l’indipendente Santo Cammarata, uomo dalla mente lucida, dalla personalità cristallina, con idee molto chiare circa la svolta che si doveva imprimere al paese per farlo uscire dalla crisi stagnante che ne aveva impedito ogni forma di sviluppo “.[1]

La storia di questo Consiglio Comunale, nato all’insegna delle lotte intestine, fra le due fazioni D.C., trova il suo epilogo, drammatico per il paese, nella decadenza e lo scioglimento del Consiglio, determinati dalla dimissione dei 18 Consiglieri della D.C. facenti capo alle due contrapposte fazioni. Ancora una volta il paese pagava lo scotto pesante delle lotte interne che dilaniavano il partito di maggioranza. La D.C. viene additata come la maggiore responsabile del malgoverno cittadino rendendosi responsabile della venuta di un Commissario Regionale “ ad acta “, con poteri quasi illimitati, il Dott. Vincenzo Viviano, Ispettore Superiore dell’Assessorato Enti Locali della Regione Siciliana, nominato con decreto 8044 del 21/06/1969. Questi, forte dell’autorità conferitale, sicuramente mal consigliato da personaggi locali di cui si era circondato, appartenenti proprio a quella classe politica che aveva determinato la gravissima crisi amministrativa, adottò dei provvedimenti a dir poco discutibili se non addirittura inopportuni, che aggravarono ancora di più la situazione economica in cui versava la cittadina. Il suo commissariato sarà ricordato dai randazzesi per la concessione di alcune licenze edilizie sulle antiche mura di cinta, per l’appalto all’I.N.G.I.C. delle Imposte di Consumo, ma soprattutto per l’imposizione della “tassa di famiglia”.

Insensibile nel valutare il negativo impatto economico e sociale che ne sarebbe derivato alla cittadinanza, non indietreggiò neanche di fronte ai consigli prima e alle veementi ma civili proteste che si levarono dai partiti di sinistra e dalle organizzazioni sindacali affinché non venisse adottato tale “sciagurato” provvedimento

Il senso di malessere e di insofferenza che da mesi serpeggiava nel paese contro l’intollerabile e presuntuosa gestione commissariale, alimentato dalle arringhe di fuoco pronunciate nei comizi organizzati dai Leader politici di opposizione del tempo: Avv. Gaetano Lazzaro del P.S.I., Turi Sciavarrello, Segretario del P.C.I., Santino Cammarata, indipendente di sinistra ed altri ancora, esplose allorquando una manifestazione di piazza organizzata per protestare contro l’istituzione della tassa di famiglia, sfuggì di mano agli organizzatori. In quel cupo giorno dell’autunno del 1969 tra le 10 e le 11 del mattino, l’intera popolazione della città, rumoreggiando, si riversò in Piazza Municipio e nelle vie adiacenti per ottenere la revoca del provvedimento istitutivo dell’”odiata tassa”.

Il Commissario, presuntuosamente, si rifiutò perfino di ricevere una delegazione formata da cittadini e rappresentanti politici per discutere e trovare una equa soluzione al problema. Pensò bene invece di chiedere aiuto al Prefetto e al Questore di Catania che, resisi conto della gravità della situazione, immediatamente inviarono a Randazzo un consistente numero di poliziotti in assetto anti guerriglia. Ci voleva però più di un’ora perche le forze dell’ordine da Catania raggiungessero Randazzo e fu proprio in questo lasso di tempo che la gente, inferocita da tale arrogante atteggiamento, diede l’assalto al Palazzo di città. Protetto dai Vigili Urbani e dalle poche Forze locali di Polizia, Il personale del Comune e il Commissario si rifugiarono, barricandosi, al piano superiore del Vecchio Monastero dei Frati Minori Conventuali, mentre le porte e i cancelli del Chiostro venivano sbarrati per evitare l’ingresso della folla; ma tutto fu inutile: i due cancelli in ferro che davano accesso al grande cortile interno del Municipio vennero forzati e la gente dilagò al suo interno. Vista però l’impossibilità di accedere ai piani superiori, un gruppo di manifestanti raggiunse Piazza Loreto dove nel deposito del Sig. Giovanni Raineri si trovavano, per la vendita, le lunghe scale in legno che di la a poco sarebbero servite per la raccolta in campagna delle olive.

Senza chiedere il permesso al proprietario, ne vennero “prelevate” alcune e di peso portate a Piazza Municipio, che da quel luogo dista circa un chilometro. Le lunghe scale dall’interno del chiostro vennero appoggiate alle finestre del piano superiore che si aprono ad un’altezza di oltre cinque metri da terra e scalate dai più facinorosi. Forzatene alcune, i manifestanti ebbero libero accesso ai corridoi che immettono negli uffici del Municipio dove l’ormai terrorizzato Commissario si era rifugiato.

Si sarebbe verificata una strage con conseguenze forse ben più gravi rispetto a quanto accaduto Domenica 25 Luglio 1920; in quell’occasione si contarono ben nove morti e decine di feriti, sempre nello stesso luogo e quasi per gli stessi motivi: mancava allora il pane e il Commissario Prefettizio del tempo aveva aumentato il prezzo delle granaglie. Fortunatamente questa volta le cose andarono diversamente e il peggio venne evitato.

L’intervento risoluto degli organizzatori della manifestazione e il sopraggiungere da Catania e dai paesi vicini di un ingente quantitativo di forze di polizia servì a calmare gli animi dei manifestanti che, rassicurati dall’impegno formale a revocare l’odiato provvedimento, desistettero dal mettere in atto l’irreparabile. (Evidentemente dalla Prefettura di Catania erano giunte al Commissario Viviano delle precise direttive in ordine a più miti comportamenti e a rivedere l’atteggiamento provocatorio nei confronti della cittadinanza randazzese).

Da sottolineare il grande equilibrio e la saggezza dimostrati dai comandanti e dai responsabili delle Forze dell’Ordine intervenute che, diversamente da quanto sconsideratamente accaduto 49 anni prima, seguendo le istruzioni loro impartite direttamente dal Ministero degli Interni, non diedero ne l’ordine di caricare la folla ammassata nel chiostro del Municipio, ne quello più tragico di aprire il fuoco su quei dimostranti che già tentavano di sfondare la porta dell’Ufficio dove il Commissario si era rifugiato. Il buon senso da parte di tutti ebbe fortunatamente il sopravvento, si calmarono gli animi dei più esagitati e, come detto, avuta la gente la rassicurazione e l’impegno formale a rivedere il provvedimento che aveva provocato la manifestazione, intorno alle 13 tolsero l’assedio al Palazzo di città e pian piano ognuno fece ritorno alle proprie abitazioni.

Come abbiamo vissuto noi studenti del San Basilio quella triste mattinata? Ho accennato al fatto che l’Istituto si trova sulla collina che domina la città di Randazzo, a pochissima distanza da Piazza Municipio, motivo per cui, l’eco della manifestazione e le urla della gente giunsero anche alle nostre orecchie, notammo anche la concitazione e il nervosismo dei nostri Professori e degli Assistenti di studio che evidentemente erano stati avvertiti ed erano a conoscenza di quanto stesse accadendo. Gli ordini e la disciplina allora vigente in Istituto non consentiva agli studenti di fare domande diverse dagli argomenti scolastici, non era quindi possibile chiedere ai superiori cosa stesse accadendo ne il motivo di quelle urla. Tutti avevamo però certezza che un qualche cosa di grave era in atto non molto distante dal Collegio. Alle 13,20 suonò la campanella che indicava la fine delle lezioni e questa volta ancora più velocemente degli altri giorni ci precipitammo fuori dal San Basilio dirigendoci verso il luogo da cui giungeva quel frastuono: Piazza Municipio. Li giunti potemmo solo assistere all’ordinato sgombero della Piazza e del Palazzo di città da parte dei manifestanti; la cosa che ricordo mi colpì di più, facendomi un po’ rabbrividire per quello che sarebbe potuto accadere, fu il vedere per la prima volta in vita mia quella gran quantità di Poliziotti in assetto di guerra, armati di tutto punto e con i lacrimogeni pronti ad essere lanciati sulla folla. Come tutti i giorni anch’io attraversai quella Piazza, impaurito, tenendomi ai margini di essa raggiunsi poco dopo casa mia non da Corso Umberto I°,  ancora ingolfato dalla gente che faceva ritorno alla proprie abitazioni, ma da Via degli Archi e da Piazza San Nicolò.

Si concludeva, fortunatamente senza incidenti di rilievo, quella che poteva trasformarsi in una strage. Le circostanze questa volta favorevoli, il buon senso della gente, la professionalità e oculatezza delle Forze dell’ordine ben dirette ed organizzate, aveva evitato il peggio. Si calmarono gli animi e nelle settimane successive Il Governo Regionale, sicuramente su suggerimento dei Funzionari del Ministero degli Interni, pensò bene di sostituire il Commissario nominando in sua vece l’Insegnante Antonino Foti che guidò il paese fino alle elezioni amministrative del Maggio 1970.

 

 

[1] S. Agati: La storia Politico-Amministrativa a Randazzo dal 1943. R.N. n° 6 – Agosto 1983, pag. 11.