Randazzo Luglio 1920 - UNA STRAGE DIMENTICATA

Randazzo 25 Luglio 1920 – UNA STRAGE DIMENTICATA

Salvatore Rizzeri

Randazzo 25 Luglio 1920 – UNA STRAGE DIMENTICATA

Dei primi decenni del novecento fu uno degli avvenimenti più tragici della storia della citta, completamente sconosciuto al pubblico, del tutto dimenticato e mai trattato da alcun libro di storia. Ad onor del vero, bisogna dare atto al bravissimo giornalista televisivo Alessandro Cecchi Paone che per primo qualche anno fa ne ha ampiamente parlato in un interessante servizio televisivo curato da Sky – Canale Marco Polo, dal titolo: Sicilia - l’Isola del tempo.                          

Un avvenimento di sangue si verificò a Randazzo negli anni venti, nel periodo che precedette l’avvento al potere del fascismo. La Sicilia viveva allora un’intensa stagione di lotte per la terra condotte dalle organizzazioni contadine. Queste chiedevano l’espropriazione dei latifondi, la concessione delle terre alle associazioni agricole, l’istituzione di una Banca agraria, il miglioramento della viabilità, la fissazione di un salario minimo e la giornata lavorativa di 8 ore.

Si sperimentarono, proprio in questo periodo, le prime forme di collegamento tra lotte contadine e lotte operaie ad opera di dirigenti sindacali lungimiranti come Nicolò Alongi e Giovanni Orcel, entrambi assassinati. Il bilancio di queste lotte in quegli anni fu sanguinoso e una delle punte più alte della violenza repressiva fu proprio il “Massacro di Randazzo di domenica 25 Luglio 1920”, in cui perirono 11 dimostranti inermi e rimasero ferite altre decine di persone”.[1]

Randazzo - Popolani in Via Garibaldi

Da settimane a Randazzo operai e contadini rumoreggiavano per la gravissima situazione economica che aveva ridotto la gente nella più triste miseria. Mancavano i generi di prima necessità, ma soprattutto scarseggiava il pane, con la legge che da tempo imponeva l’ammasso della produzione del grano, mancava alle famiglie non solo quello necessario per sopravvivere ma addirittura anche il grano per la semina. Siamo alla vigilia dell’avvento al potere del fascismo, ed oltre alla ormai incombente crisi finanziaria ed economica mondiale che dagli Stati Uniti si sarebbe propagata all’Europa, ad aggravare la già precaria situazione di Randazzo non erano stati certamente estranei anche alcuni avvenimenti particolari e tragici che in quegli anni la interessarono direttamente e che contribuirono a creare questo stato di cose. Le epidemie di colera del 1897 e del 1911 avevano mietuto moltissime vittime e lo scoppio della 1^ Guerra Mondiale per anni aveva costretto al fronte migliaia di capi famiglia e di giovani, da dove molti non faranno più ritorno. Alle già povere famiglie venne così a mancare anche l’apporto di quelle braccia che per il duro lavoro nei campi erano indispensabili e contribuivano in modo determinante a procurare quel minimo sostentamento. Quella tragica estate del 1920 era stata anche caratterizzata da problemi di natura amministrativa: il Sindaco e la Giunta si erano dimessi e il Prefetto di Catania, fino allo svolgimento delle prossime elezioni comunali, aveva nominato un Commissario ad acta che reggeva alla meno peggio le sorti della città. 

In questo instabile ed arroventato contesto la mattina di Domenica 25 Luglio 1920, una gran moltitudine di gente, soprattutto donne, rumoreggiando si recò al Palazzo di città per chiedere alle Autorità una rivisitazione ed un allentamento delle norme restrittive sulle quantità di grano da distribuire alla popolazione. Una delegazione venne ricevuta dal Commissario e si era anche raggiunto un accordo quando l’imprudente e pesante battuta di un dipendente comunale, rivolta all’indirizzo dei manifestanti, fa scoppiare l’ira soprattutto delle donne che mettono a soqquadro alcune stanze del municipio. E qui accade l’irreparabile: il comandante del drappello dei Carabinieri preposti alla sicurezza, sconsideratamente ed in modo irresponsabile, anziché calmare gli animi, ordina ai militari di aprire il fuoco sulla folla degli inermi manifestanti che, raccontano le cronache del tempo, erano privi di qualsiasi arma offensiva. Qualcuno vociferò che alla sparatoria partecipò anche qualche vigile urbano, fatto sta che all’interno del chiostro e nei pressi del cancello di accesso al municipio rimasero a terra, colpiti a morte, sette manifestanti oltre ad alcune decine di feriti, che seminarono lutto e disperazione in tante famiglie. Il bilancio delle vittime era però destinato ad aumentare, infatti il giorno dopo per le gravi ferite riportate decedevano altri due dimostranti.

Se oggi siamo in grado di conoscere i nomi delle sette vittime innocenti che si immolarono per una giusta causa, lo si deve alla caparbia e lunga ricerca d’archivio dell’amico e studioso NINO FINOCCHIARO a cui va tutta la nostra gratitudine:

  • CALCAGNO VINCENZO di anni 56 – Coniugato        Deceduto il 25.07.1920
  • SORBELLO GIUSEPPE dI anni 19 - Celibe               Deceduto il 25.07.1920
  • LA PIANA BENEDETTO di anni 54 - Coniugato         Deceduto il 25.07.1920
  • MANGIONE GAETANO di anni 65 – Coniugato         Deceduto il 25.07.1920
  • GIGLIO GIUSEPPE di anni 37 - Coniugato               Deceduto il 25.07.1920
  • CELONA LUIGI DI ANNI 19 – Celibe                         Deceduto il 25.07.1920
  • MAGRO FRANCESCO di anni 61 – Celibe                Deceduto il 25.07.1920

Purtroppo non si sono riuscite a conoscere le generalità delle due persone decedute nei giorni successivi per le gravi ferite riportate.

Il gravissimo fatto di sangue di Randazzo, una vera e propria strage, ebbe purtroppo un’ulteriore tragica coda, infatti il nascente Partito Socialista di Catania, avutane notizia, il giorno dopo organizzò una manifestazione di protesta che si concluse con un comizio durante il quale scoppiarono però dei tafferugli con le forze dell’ordine che, anche in questo caso, aprirono il fuoco sui manifestanti.

Randazzo - Il chiostro del municipio luogo della strage

" Nel corso delle manifestazioni di piazza, particolarmente tumultuose, si verificarono vari scontri tra la truppa (...) i dimostranti e alcuni provocatori nazionalfascisti che avevano disturbato il comizio socialista di Giuseppe Sapienza e Maria Giudice al teatro Sangiorgi. Le <<forze dell'ordine>> spararono sulla folla con le mitragliatrici: sei dimostranti, tra una quarantina di feriti, rimasero uccisi ".[2]

Alla base di questi sanguinosi interventi vi era la volontà di evitare che il movimento contadino travalicasse gli argini del riformismo, che assumesse, cioè, le caratteristiche di un vero e proprio movimento rivoluzionario. Benché sia Nitti sia Giolitti fossero contrari, in linea di principio, al ricorso alla repressione violenta e generalizzata, nei fatti le loro generiche direttive ai Prefetti finivano per concedere a questi ultimi un forte potere discrezionale, per favorire - così come nell'età giolittiana - le forze in campo più potenti.[3]

Questi ed altri avvenimenti, al di là della loro tragicità, ribadiscono una cosa molto importante, affermano in sostanza che né il Risorgimento, né le lotte autonomiste e indipendentiste accettarono di fare proprie le legittime rivendicazioni sociali e sindacali dei contadini e della classe operaia. Abbiamo visto infatti come sia nel 1860, con i fatti di Bronte e Randazzo, sia nel 1920, con la strage di Randazzo, sia alla fine dell’ultimo conflitto mondiale con il secondo eccidio di “Murazzu Ruttu” del 17 Giugno 1945, di cui diremo specificatamente più avanti. Tutto accadde in nome di principi legati ai cambiamenti istituzionali. Principi strettamente connessi alla volontà di cambiare la forma giuridica dello Stato, di cambiare i confini stessi dello Stato, ma mai si accettò, e come abbiamo visto fu pagato col sangue, questo tentativo di lavorare in maniera seria, esplicita e radicale per la giustizia economica, la giustizia sociale e la giustizia nel campo del lavoro.

Di questo grave fatto di sangue però poco si seppe, del resto la stessa cosa era già avvenuta, come abbiamo visto, in occasione della venuta di Nino Bixio a Randazzo per reprimere i moti rivoluzionari scoppiati nella città nell’Agosto del 1860. La classe nobiliare dominante, che allora deteneva anche il potere politico, aveva tutto l’interesse ad insabbiare e nascondere questi gravissimi fatti che denotavano il malcontento della popolazione soprattutto nei loro confronti. Con questo luttuoso eccidio cittadino ebbero fine i movimenti di rivolta a Randazzo.

E’ passato più di un secolo da quella tragica ed infausta giornata, eppure di questa tremenda strage si sa ancora ben poco, quasi nulla direi e, se si esclude il servizio giornalistico-televisivo di Sky magnificamente curato da Alessandro Cecchi Paone e quello del 15 luglio 2011, da me curato e trasmesso da TGR Randazzo, nessuno ne ha mai fatto cenno. Neanche le autorità cittadine, già nel passato, come pure dal dopoguerra e fino agli anni recenti, hanno mai pensato di onorare il ricordo di quelle povere vittime innocenti la cui sola colpa era stata quella di chiedere allo Stato l’affrancamento dalla miseria e dalla fame e un trattamento più solidale e umano dal punto di vista economico e sociale. La risposta che ne ebbero fu scritta con il piombo della polizia e l’inchiostro rosso del loro sangue.  

 

[1]  A. Cecchi Paone: Dalla trasmissione televisiva “Sicilia – L’Isola del tempo”. Citaz.

[2]  G.C. Marino, 1976 p. 107n.

[3]  Gabriella Scolaro: dal sito www.terrelibere.it/storia - 1997.